Home Editoriale E se l’Africa si vendica?

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Scritto da Administrator   
Sabato 01 Agosto 2015 07:50

È da molti anni che mi pongo l’interrogativo su che cosa succederà quando l’Africa si vendicherà nei confronti dell’Occidente e, soprattutto, verso l’Europa. Non so il fenomeno migratorio di questi ultimi tempi lungo la via del Mediterraneo, aggravatosi con le tragedie di questi nostri giorni, sia bruciante risposta a questo interrogativo; certo è che si tratta di un segnale ben preciso.

Quindici anni fa, nella sacrestia della chiesa dei carmelitani  del ”Bambin Gesù” a Praga  posi la domanda a padre Anastasio, da tempo fortemente impegnato in aiuti umanitari nel Centrafrica e conoscitore di altre realtà sociali del Continente. La risposta mi fece molto riflettere: fin che reggerà il ciclo delle tribù che pensano solo a sostituirsi a quella fra loro che è al potere la lotta rimarrà interna, poi solo Dio sa quello che accadrà. Il Carmelitano parlava diversi anni prima della Primavera araba. Purtroppo in Europa vi è poca conoscenza e consapevolezza per rapporto alla realtà africana. Al di là di pur apprezzabili interventi umanitari e  allo sviluppo, nei confronti dell’Africa è sempre prevalso uno spirito di sfruttamento.

Eppure, dopo che nel 1434 il capitano Gil Eanès, sotto bandiera portoghese del principe Enrico il Navigatore riuscì a doppiare capo Bojador, evento cui talvolta si fa risalire la “scoperta” dell’Africa, i rapporti con  l’Europa hanno registrato un significativo crescendo. Il prevalente interesse fu tuttavia per lo sfruttamento di beni ed esser umani. Pensiamo agli uffici e centri per il traffico di schiavi istituiti da vari Paesi europei che ha registrato un crescente “giro d’affari” parallelamente all’intensificarsi del commercio dei “Neri”, concentrati in fortificazioni che servivano anche da deposito e magazzini. Nel 1550 il solo Portogallo era in possesso di sei fortificazioni nell’antica Costa D’oro, la regione corrispondente all’attuale Ghana. Seguirono a ruota nelle fortificazioni l’Olanda e l’Inghilterra, mentre nella stessa regione ed in altre realtà africane , fra cui il Senegal, Danimarca, Germania e Francia si concentrarono su uno o più uffici nel commercio degli schiavi.

Dopo la Rivoluzione francese, in seguito all’abolizione della tratta dei Neri, grazie soprattutto all’azione degli antischiavisti, gli europei continuarono a conservare i loro interessi africani accordandosi sulla conquista del Continente, concentrandosi su territori particolarmente interessanti. Con la scaltrezza che lo caratterizzava, Bismarck, giocando in anticipo per contenere le aspirazioni egemoni della Gran Bretagna, ospitò a Berlino, fra il novembre del 1884 e il  febbraio 1885, una serie di incontri tra rappresentanti di Paesi europei entrati nella storia come “Conferenza di Berlino” o “Corsa all’Africa”, con i quali venne decisa la spartizione del Continente. Fu l’inizio della colonizzazione, alla quale più tardi anche l’Italia seppe metterci del suo, e la Francia, che oggi respinge anche con mezzi indegni disperati africani, sembra essersi dimenticata di ciò che ha combinato, fra l’altro, nel regno del Dahomey, diventato poi il Benin.

Al di là del principio senza tempo della solidarietà, come possono oggi Paesi europei dimenticare che a partire dal quindicesimo secolo l’Africa e gli africani hanno subito leggi d’Europa? L’Europa, che ha la sua identità formatasi nella relazione dovrebbe comprendere che da tempo l’Africa, come sottolinea il filosofo rosminiano Markus Krienke, “ha costituito una sorta di specchio per l’identità europea”.

Essendo giunto il tempo che l’Europa superi il suo atteggiamento di considerare determinanti, quasi dogmi  i suoi criteri, dobbiamo probabilmente avvicinarsi di più all’“inclusione dell’altro” di Jürgen Habermas e all’“etica globale” di Hans Küng, ed educarci alla “dignità della diversità”.

I rapporti dell’Europa con l’Africa non debbono porsi sul piano di una spietata concorrenza che si rapporti con il sistema di gestione di interessi cinesi nel Continente. L’èlite afrodiasporica, con un crescente numero di intellettuali africani presenti anche in paesi europei, deve farci riflettere anche sulle nuove potenzialità di collaborazione euro-africana a vari livelli. Nel rapportarsi con il più antico continente abitato e le relative comunità, che presenti  in 54 Stati costituiscono il 14% della popolazione mondiale, l’Europa deve probabilmente riflettere maggiormente anche su che cosa possa significare oggi e nel futuro il sogno di “Eurafrica” del presidente senegalese Léopold Sédar Senghor, idea entrata recentemente anche nei ragionamenti politici di Andrea Riccardi.

Da parte dell’Unione Europea, e soprattutto dei suoi Stati membri, con particolare riferimento a quelli dell’area mediterranea, sono richieste politiche molto più concrete nei confronti dell’Africa . È ben vero che da tempo sono stati firmati accordi e definiti programmi ambiziosi nei rapporti fra Unione europea ed Africa. Già nel 1964 venne firmata la Convenzione di  Yaoundé, nel Camerun; seguirono le Convenzioni di Arusha (Tanzania) nel 1969  e di Lomé(Togo) nel 1975. Nei tempi più recenti il Consiglio europeo ha promosso due ambiziosi progetti coinvolgenti Paesi europei ed africani:  nel 1995,  il “Processo di Barcellona”, che prevedeva un  partenariato euromediterraneo rafforzato, e nel 2008, l’ “Unione per il Mediterraneo”; il primo progetto è fallito sul nascere ed il secondo non è ancora uscito al letargo. Nel frattempo la Cina ha stabilito che sta attuando una potente e pervasiva politica di sfruttamento di risorse africane, realizzando una penetrante rete di rapporti nel contesto politico.

La reazione di questi giorni alle migrazioni che partono dall’area mediterranea, oltre che registrare il fallimento di fondamentali principi fondanti dell’integratore europea, evidenziano che non si è capito quello che potrà esserci di africano nel futuro dell’Europa. Come disse Wilhelm Staudacher in un convegno organizzato nel novembre 2009 a Roma dalla “Fondazione Konrad Adenauer” in collaborazione con il “Centro per gli studi europei” sul tema “Eurafrica”, “chi vedere nelle migrazioni solo un pericolo non sa capire i segni dei tempi”. Nel 2009, il Sinodo dei Vescovi sull’Africa si  è svolto all’insegna del grido “Africa, alzati!”. Probabilmente è anche l’Europa che deve svegliarsi, prima che la vendetta africana la faccia uscire di soprassalto dal suo torpore. Paolo Magagnotti