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La storia della guerra passa dalla Valle del Chiese
Scritto da Lamberto Amistadi   
Lunedì 12 Maggio 2014 06:29

Originariamente, i forti dello sbarramento di Lardaro erano cinque: il Forte Larino, Danzolino e Revegler, il Forte Corno e il Forte Carriola. Essi costituivano nel loro insieme i forti di un cosiddetto “sbarramento di vallata”, con lo scopo di vigilare sulla via di accesso ai territori dell’Impero dalla Lombardia.

 

I forti Larino, Danzolino e Revegler erano, a detta del Rolf (autore del monumentale Festungsbauten der Monarchie) “sbalorditivamente simili”. Vengono costruiti negli stessi anni tra il 1860 e il 1861 dallo stesso ingegnere del Genio, capitano Oskar Meiss von Taufen come reazione alla perdita della Lombardia nella Seconda guerra di indipendenza italiana (1859), quando la Rocca d’Anfo passa in mani nemiche. Dal punto di vista tipologico, si tratta di corpi casamattati ad “L” per lo più ad un solo piano, con gli angoli arrotondati, le volte in mattoni ricoperte di calcestruzzo di calce e i fori cannonieri aperti in blocchi di granito finemente lavorati a scalpello. Per curiosità, “corpi casamattati” significa corpi costituiti da casamatte. “Casamatta” è un termine che deriva dallo spagnolo “casa” e “matar”, cioè “uccidere”, da cui il tedesco “Mörderkeller”, che tradotto assume i toni un po’ macabri di “locale che uccide”. Per la verità, questi primi tre forti dello sbarramento di Lardaro non uccisero proprio nessuno, i loro bellissimi cannoni M61 (“M” sta per “Modell” e 61, per l’anno del brevetto, 1861) da 150 mm di calibro non spararono un colpo e allo scoppio della Grande Guerra i tre forti erano già stati declassati a magazzino.

Nel 1881, il direttore del genio Julius Vogl rimette mano all’intero piano per la difesa dei territori del Tirolo e nel suo Denkschrift über die Landesbefestigung Tyrols prevede, tra lealtre cose, la costruzione di un nuovo forte sulle pendici del Doss dei Morti, a quota 1.082 m s.l.m, il Forte Corno. Tra la prima generazione di forti e questa seconda generazione molte cose sono cambiate, dal punto di vista strategico, tecnologico e tipologico, tre cose che nell’architettura militare vanno di pari passo. Innanzitutto, si era decisamente e stabilmente passati dalla difesa ravvicinata alla difesa a distanza (“Fernkampf”) con un fronte di tiro ben indirizzato su determinati obiettivi. Ciò era dovuto ad un notevole miglioramento delle capacità balistiche degli armamenti sia in termini di gittata che di precisione, ottenuto grazie alla rigatura e alla cerchiatura delle canne, nonché ad un miglioramento dei materiali e delle polveri da sparo. Ciò comportò sia una diversa collocazione dei forti, che vennero posti a quote più elevate, sia la necessità di migliorare la loro resistenza alle bombe. Non a caso venne introdotto un uso massiccio del calcestruzzo di cemento, che nella copertura delle casamatte del Forte Corno ricopre i blocchi in pietra calcarea delle volte. Gli esperimenti avevano anche dimostrato l’inefficacia di ricoprire le fortezze con ampi strati di terra, che lasciavano penetrare i proietti nelle coperture, imprigionando la carica esplosiva ed aumentando il suo effetto dirompente.

Per questo motivo il fronte di tiro del forte Corno è protetto da grossi blocchi di granito. Ma la novità principale di questa seconda generazione di forti fu sicuramente l’introduzione, mutuata dall’ingegneria navale, delle corazze in acciaio, per  cui le fortezze possono essere chiamate “Panzerfortification”, forti corazzati. Le nuove casamatte corazzate per i nuovi cannoni M80 prodotte dalla ditta morava Witkowitz erano protette da una corazza in acciaio, così come erano completamente in acciaio (più precisamente in ghisa temperata, “Hartguss”) le torri per i mortai M80 da 150 mm (“Panzermörser”)  prodotte dalla ditta Skoda.

Ma la rivoluzione più sorprendente dal punto di vista degli armamenti e della tecnica costruttiva era  di là da venire. L’occasione per la costruzione di un forte di ultima generazione nello sbarramento di Lardaro venne dai nuovi piani militari del Capo di Stato Maggiore dell’Impero Franz Conrad, che a partire dal 1907, ripensa il piano di rafforzamento della cosidetta “seconda linea”, che avrebbe dovuto coprire le spalle all’Impero nel caso di conflitto con l’Italia. Un documento del Ministero della Guerra di Vienna del 1908 indica la collocazione di un nuovo forte sopra l’abitato di Por, sul versante orografico sinistro della Valle del Chiese: il Forte Carriola (che nei primi documenti è chiamato anche “Werk Por”). Esso rappresentava quanto di meglio e di più avanzato offrissero le tecnologie militari fino a quel momento. Le volte a botte delle casamatte erano sostituite da solai in cemento armato da oltre 2 metri di spessore gettati su una fila di putrelle di acciaio da 50 cm di altezza. Gli armamenti erano posti in cupole corazzate “bombersicher und drehbar”, ossia resistenti alle bombe e girevoli per evitare l’imbocco del foro cannoniero da parte dell’artiglieria nemica. Mai come in queste opere, la tipologia architettonica coincide con la meccanica esatta degli armamenti: il disegno del forte era determinato dalla posizione delle batterie di obici e di mortai e dalle quattro casamatte corazzate per mitragliatrice. Le macerie del Forte Carriola, che fu fatto implodere dopo la guerra, custodiscono probabilmente il maggiore atto di eroismo di un presidio fortificato dello sbarramento di Lardaro. Dall’inizio della primavera del 1916, fu bersagliato e circondato dall’artiglieria italiana, che ciononostante lo occupò solo dopo l’armistizio del 3 novembre 1918.

I forti dello sbarramento di Lardaro, insieme alle opere campali (postazioni di artiglieria, bunker, gallerie, trincee, punti di osservazione, ecc) costituiscono le tracce più evidenti del passaggio della storia nell’Alta Valle del Chiese. Le vicende della loro costruzione sono fortemente intrecciate con la vita della popolazione e con trasformazioni profonde del paesaggio della valle. A partire dagli inizi degli anni 2000 le amministrazioni locali e la Provincia Autonoma di Trento hanno cominciato un percorso di collaborazione per recuperare e valorizzare questi manufatti. Nel settembre 2003 la Giunta Provinciale approva le linee guida del cosiddetto “Progetto Grande Guerra”, la cui missione è proprio quella di “proporre, attraverso la lettura e il recupero attento delle fortificazioni austroungariche, la storia della vita dei trentini in un momento difficile ma significativo della loro esistenza.” Nel 2009, l’Ecomuseo della Valle del Chiese – Porta del Trentino e la Soprintendenza PAT si fanno promotori di una campagna di censimento delle opere campali presenti sul territorio della Valle del Chiese e di alcune aree adiacenti delle Giudicarie (www.trentinograndeguerra.it). I segni e le tracce presenti sul territorio, l’ingegneria delle opere belliche, le tecnologie costruttive, l’evoluzione delle tattiche e delle strategie militari, la storia socio-economica delle relazioni tra la vita della popolazione e le presenze militari, i diari di guerra e gli altri documenti d’epoca che illustrano la tragedia del conflitto e le violenze della guerra costituiscono nel loro insieme parte dell’universo simbolico di cui si compone l’identità di una comunità.