Home Primo Piano «Non è Vespa il problema, ma il nostro modo di sentire l’autonomia»

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da Roberto Bertolini   
Lunedì 10 Febbraio 2014 08:49

Vespa attacca l’autonomia del Trentino-Alto Adige a “Porta a Porta”. Pochi giorni dopo ci pensa Giletti, a “Domenica in” a rincarare la dose. Non c’è pace per la specialità trentina che sembra diventata – nel momento in cui lo Stato italiano è in “bolletta” - la cassaforte da cui attingere per rattoppare il malandato bilancio nazionale. Ma è proprio così? Lo abbiamo chiesto al professor Antonio Scaglia, giudicariese di nascita, già preside della Facoltà di Sociologia di Trento e docente a Innsbruck e in Germania. Un conoscitore del mondo ed esperto di questioni legate all’autonomia. 

Prof. Scaglia, che effetto Le ha fatto vedere l’autonomia alla berlina a “Porta a Porta”?

Vede, il problema più grande non è nemmeno quello delle “punture” di Vespa, ma il tema di fondo è piuttosto chiedersi che cos’è diventato negli anni il nostro legame con il concetto di autonomia, quali significati leghiamo a questa parola. Purtroppo, a causa della semplificazione politica da campagna elettorale permanente, questo termine è oggi svilito, significa per i più solamente risorse economiche, per altri costumi da Schützen e folklore. Ecco, aver smarrito i veri significati dell’autonomia è il vero dramma.

 

Dove vanno ricercati dunque i veri significati di questa parola?

Sono quelli originari, pensati da Degasperi e tradotti dapprima nell’Accordo di Parigi e poi nella legge costituzionale del Primo Statuto, ossia quelli legati alla presenza delle minoranze linguistiche, alla loro tutela e alle questioni della convivenza e collaborazione dei gruppi etnici. Questi erano i veri valori fondanti dell’autonomia  e da qui occorre ripartire.

 

Poi che è successo?

Poi le vicende storiche hanno determinato alcuni forti cambiamenti. Penso alla stagione degli attentati in Alto Adige, al Los Von Trient di Silvius Magnago e a quella importante opera di ricomposizione operata dalla Commissione dei 19 che ha portato al cosiddetto “Pacchetto” e successivamente al Secondo Statuto di Autonomia nel 1972. Da una parte questo fondamentale documento sancì la pacificazione e pose fine ad una stagione di grande tensione che rischiava di incendiare l’Alto Adige. Dall’altro, distribuendo gran parte delle competenze alle due Province, determinò l’inizio del declino dell’Ente Regione, creando anche degli steccati fra le due entità.

 

Da lì dunque nasce la situazione di attuale difficoltà per l’autonomia?

Intendiamoci, il Secondo Statuto fu un bene in quel determinato periodo storico, ma indubbiamente ha dato il là all’indebolimento della Regione ed oggi, a 42 anni di distanza, è per alcuni aspetti quasi giurassico.

Dunque anche per Lei diventa necessario impostare un Terzo Statuto?

Direi che è urgente, purché sia costituito su basi di grande condivisione, sia scritto e concertato assieme da trentini ed altoatesini e rilanci con progetti di ampio respiro le tematiche della convivenza tra italiani e tedeschi, del dialogo tra le varie componenti di questa complessa società, senza dimenticare la valorizzazione delle identità locali e il ruolo della scuola.

 

A proposito di scuola, che ne pensa dell’accento posto dal presidente trentino Ugo Rossi sul trilinguismo?

È positivo, è un base di partenza importante, perché è nell’ambiente scolastico che si forma la cultura dell’autonomia, ed in questo senso non va trascurata l’importanza a livello linguistico e sociale del dialetto, che rappresenta un tratto identitario di grande significato.

 

Come valuta le sue risposte agli attacchi televisivi dei vari Vespa e Giletti?

Non mi lancio in valutazioni, dico solo cosa avrei risposto io. La mia risposta sarebbe stata una domanda: “Ma lei Vespa, lo sa perché il Trentino Alto-Adige gode dell’autonomia?”. Sembra una questione semplice, ma anche tanti politici provinciali non sanno darvi una risposta esaustiva e di questo c’è da vergognarsi.

 

Qual’è dunque una risposta concisa ed esauriente a questo quesito?

La risposta potrebbe essere che autonomia non significa decentramento amministrativo, ma autogoverno. “Autogoverno, per fare cosa?”, è la domanda seguente. Un autogoverno che sia in funzione della convivenza, della responsabilizzazione della classe dirigente e dei cittadini. Purtroppo questi valori sono stati dimenticati, e negli ultimi 20 anni abbiamo guardato solo ai soldi, alle risorse e smontato completamente la Regione, che – non a caso – oggi è percepita come una scatola vuota o tutt’al più un bancomat che distribuisce contributi.

 

Occorre ripartire, dunque. Ma da dove?

Penso dal Terzo Statuto e da una visione più solidale e di maggiore condivisione, con una Regione che torni ad essere un luogo di incontro tra trentini ed altoatesini, dove si discute e si concordano tematiche importanti e strategiche.

Poi bisogna a parer mio ripartire dalla valorizzazione degli enti locali L’autonomia deve essere generatrice di altra autonomia, non diventare un moloch, come di fatto è accaduto. Ecco allora che i comuni, cellula principale del nostro tessuto amministrativo, devono tornare ad essere importanti. Ma questo non vuol dire fare aumentare i costi, occorre lasciare alle singole comunità la possibilità di autogovernarsi, in modo virtuoso, senza indennità o privilegi. Poi, a livello sovra-comunale, gestire assieme i servizi, come il servizio tecnico, oppure quello contabile o quello di segreteria per contenere i costi. Ecco allora che avremmo davvero un’autonomia virtuosa che nasce da tante autonomie distribuite sul territorio, come comuni ed usi civici, e vere interpreti della specialità della terra trentina.