Home Politica La legge di stabilità è la nostra instabilità

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da Ettore Zampiccoli   
Venerdì 17 Gennaio 2014 16:04

L’approvazione della cosiddetta legge di stabilità, che si traduce in una grande manovra finanziaria per far tornare i conti dello Stato, è stata una vera e propria commedia. Ordini, contrordini, decreti inseriti nella manovra e poi velocemente ritirati, assalto alla diligenza con emendamenti proposti dalla maggioranza per accontentare clientele e lobbyes. E’ dovuto intervenire perfino il Capo dello Stato per far ritirare e riscrivere il decreto “Salva Roma”, che raccoglieva spese e istanze assolutamente scandalose.

Chi abbia seguito un po’ i giornali dei giorni scorsi ha avuto modo di rendersi conto quanto sia debole questo Governo e quanto sia ormai inquietante la corsa dei vari ministri per metter toppe e rattoppi ad un sistema finanziario e burocratico, che forse è alla vigilia dello sfascio finale.

Una cosa è certa: la legge di stabilità in effetti si traduce nella nostra instabilità, l’instabilità di larghi strati della popolazione sulla quale pesa una crisi economica sempre più difficile e grave. E’ una legge che di fatto costerà agli italiani nel 2014 più di due miliardi di tasse vere e occulte, che ai lavoratori porterà ben pochi vantaggi (si parla – udite, udite ! - di un aumento, attraverso il famoso cuneo fiscale, di ben quindici/venti euro al mese), che bloccherà per tre anni le pensioni sopra i duemila euro. E’ una legge che – come ha detto la Confindustria – non apre di fatto alcuna prospettiva di ripresa. In compenso la legge che voleva abolire le Province si è tradotta in una vera pagliacciata. Le Province rimarranno e le assemblee legislative saranno composte dai sindaci, che per tale incarico non saranno pagati. Ma  resteranno comunque sul gobbone dei contribuenti tutti i costi della burocrazia e del funzionamento dell’ente ( uffici, palazzi, trasferte ecc.). Le indennità dei politici romani rimarranno di fatto immutate ( avranno una perdita di poco più di 500 euro al mese). Intoccabili i privilegi delle caste burocratiche :  il segretario generale della Regione Sicilia prende più di 600 mila euro all’anno e non parliamo del personale del Parlamento, dove un usciere ha compensi che i nostri giovani laureati si sognano. Intoccabili gli emolumenti dei dirigenti dei grandi apparati delle banche e dello Stato, a partire dal presidente dell’Inps per arrivare ad Alitalia e compagnia bella. Intoccabili pure i privilegi degli enti cosiddetti inutili, che continuano a vivere e pesare sullo Stato. Intoccabili i compensi folli dei vari conduttori Rai ( a Fabio Fazio oltre 5 milioni di euro in tre anni ) ecc. ecc.

In questa situazione da basso impero irrompe Matteo Renzi. Riuscirà il nostro eroe a toccare il sistema politico che sta mandando l’Italia alla malora? Nessuno oggettivamente può saperlo ora. Certo che da qualche prima sventagliata di idee e propositi non promette niente di buono. La disoccupazione dei giovani sta aumentando, le partite iva e le piccole e medie industria chiudono a raffica e Matteo Renzi promette solennemente che tra i primi problemi da affrontare ci sta lo “jus solis”, ovvero il diritto dei figli degli emigrati che nascono in Italia di avere immediatamente la cittadinanza italiana. Questi sono i tempi, queste le raffiche di vento che arrivano da Roma. Nessuna meraviglia poi se oltre un terzo degli italiani, intervistati da un noto istituto nazionale, dichiara che per risolvere la crisi italiana ci vorrebbe una rivoluzione e una frangia sempre più ampia si spinge più in là auspicando un uomo forte che spazzi via l’insipienza e la prepotenza delle caste politiche e burocratiche che gestiscono il potere romano. Beh, non sottovalutiamo questi rischi. Le proteste dei “forconi” vanno in questa direzione. E’ la volontà e la rabbia di migliaia di italiani che vogliono spazzare via le varie caste, dai partiti ai sindacati, responsabili di questo dissesto. Non a caso Giuseppe De Rita, presidente del Censis, proprio qualche giorno fa ha ammonito i politici facendo presente che ormai siamo al limite di rottura dell’equilibrio democratico.

E in questo panorama come se la caverà il Trentino e come se la caverà la sua autonomia? Non passa giorno che i giornali non ci raccontino dei tentativi o comunque delle ferme intenzione del Governo di tagliarci un bel po’ di fondi e di risorse. Noi speriamo che Rossi & C abbiano la forza di rivendicare i diritti ed i patti sottoscritti da Trento ( e dal Sudtirolo  con alle spalle l’Austria ) con Roma. Ma il problema non è solo il rispetto dei patti. Il problema è di capire se il dissesto generale nel quale il Paese si sta indirizzando alla fine non trascini nel baratro economico e sociale anche il Trentino. Come insegnano i grandi strateghi di grandi imprese e organizzazioni nell’ipotesi di scenari difficili e incontrollabili si deve sempre pensare ad una via d’uscita, ad una soluzione B, che permetta di salvare il salvabile.

E per il Trentino quale potrebbe essere la soluzione B a fronte del crollo del sistema italiano? Tanti in Trentino lo pensano ma pochi lo dicono. Il piano B potrebbe essere quello di pensare ad una forma di distacco del Trentino dall’Italia con un’autonomia totalmente integrale con modalità istituzionali e di rappresentanza tutte da studiare e definire. In Alto Adige – come ben si sa – ci pensano già da tempo avendo come obiettivo l’autodeterminazione, che di fatto si tradurrebbe in un’uscita dall’Italia ed un ritorno alla vecchia cornice tirolese e austriaca.

Noi non auspichiamo una soluzione simile ma se la frittata romana dovesse essere completa diciamo che dovremo tenerci ben stretti gli altoatesini e capire quali potrebbero le comuni vie di uscita. Autonomia integrale? Autodeterminazione? Ipotesi  di confederazione con il Sudtirolo ed il Nord Tirolo? Sicuramente molti bolleranno queste ipotesi come soluzioni antistoriche, antieuropee ed impercorribili. Peraltro nell’Europa orientale la Slovacchia si è staccata pacificamente dalla Cechia. La Catalogna punta a tappe forzate verso il divorzio da Madrid. Ricordiamo che nella storia nulla è definitivo ed immutabile. E’ caduto il Muro il Berlino perché non potrebbero cadere altri tabù?

Siamo a cento anni dalla prima guerra mondiale, che portò i trentini più nolenti che volenti nell’orbita italiana. Ma non bisogna mai dimenticare, a questo proposito, quello che disse il ministro Salandra alla vedova di Cesare Battisti incontrandola a Roma dopo la fine del conflitto.

Salandra, nel corso di un colloquio, ascoltò la vedova di Battisti e poi, congedandola, disse quel che pensava : “Certo che avevate ben poca voglia di essere redenti lassù”. Si riferiva ovviamente ai trentini, alla stragrande maggioranza di quei trentini che purtroppo avevano subito le scelte di Battisti. La vedova Battisti – raccontano gli storici – rimase turbata ma questo, sia detto con grande rispetto per Battisti,  non cambia la realtà di allora.