Home Economia Il Vino “del Chiese” prende corpo. Si concretizza il progetto di produzione vitivinicola messo in campo nel 2009. Bene i bianchi, rossi da rivedere. Ora si aspetta la vendemmia 2013

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da r.b.   
Martedì 10 Settembre 2013 22:46

Il vino della valle del Chiese. Non solo una passione, per i produttori, ma anche un modo per creare del reddito integrativo e recuperare alcuni appezzamenti incolti, valorizzando il territorio. Ne sono convinti i soci dell’associazione Culturnova che, anche grazie al sostegno del Bim del Chiese, si sono impegnati a fondo su questo progetto, che sta dando i primi frutti. Infine, non si deve scordarne il valore storico e di recupero della tradizione. In fatti, ai tempi dell’Impero Austroungarico, la Valle del Chiese poteva contare su una certa produzione vitivinicola; niente di esorbitante, è vero, ma abbastanza per soddisfare l’autoconsumo interno. Una coltivazione a cui tante famiglie guardavano ai fini del sostentamento, specie quando il Trentino era ancora una terra esclusivamente agricola. Poi le due guerre, la carestia ed i disordini di una terra di frontiera, hanno fatto lentamente sparire le viti nel Chiese.

Produzione. Anche oggi c’è una produzione, localizzata nelle zone di Condino, Storo e Praso, principalmente di qualità Kerner (vino aromatico a bacca bianca), Müller-Thurgau (coltivato anche in Val di Cembra e Terlano) e Chardonnay (bacca bianca, utilizzato per bianchi fermi, spumanti e frizzanti, la zona di Storo è inclusa nel disciplinare della Doc Trento) con i produttori che conferiscono verso altre realtà, come la Cantina di Toblino. L’idea di fondo, però, era quella di recuperare un vitigno autoctono, proprio di questa zona. Un vino a cui dare nome “Chiese”, in onore di questa valle. In Giudicarie sono in totale 67 le aziende (o micro aziende) che coltivano la vite.

Il tentativo, in questo senso è stato quello di sviluppare un vitigno del passato, coltivato dalle parti di Cimego, detto Bicò, parente alla lontana del francese Bacò. Analizzato dagli esperti della Fondazione Mach di San Michele all’Adige è stato giudicato un vino ibrido, tra l’altro senza possibilità apprezzabili di coltivazione. Idem con un’altra varietà, il Seibel. A questo punto, i ricercatori di San Michele hanno proposto di sperimentare cinque varietà di uva bianca (Moscato/Malvasia) e rossa (Lagrein /Teroldego), per capire se l’incrocio locale di fattori come la qualità della terra e le condizioni altimetriche e geomorfologiche del territorio potevano dare dei risultati apprezzabili. La vite, si sa, fatica dai 750 metri in su e per questo sono stati individuati nella valle potenziali 850 ettari di territorio posto ad una quota inferiore agli 800 metri di quota e con una pendenza inferiore al 35%, le caratteristiche minime richieste per la produzione. Ecco allora che il Bim ha stretto un accordo con la Fondazione Mach e trovato delle persone volontarie che hanno piantato nell’anno 2009, 2.000 viti in tutto (200 per varietà) per vedere la loro evoluzione.

I risultati. Sono tre gli assaggi ufficiali fatti sinora con il vino Chiesano, alla presenza di esperti del settore come il presidente della Confraternita del Vino e della Vite di Trento Enzo Merz o Erika Pedrini della Azienda Agricola Pravis di Lasino. Quello di quest’anno particolarmente importante. «I vini bianchi ci hanno dato delle ottime soddisfazioni – spiega Nello Lolli, ex-sindaco di Praso e appassionato coltivatore - addirittura ci sono dei vini con profumi ottimi (Erika Pedrini ha avuto modo di definirlo eccezionale), mentre sui rossi c’è delusione, ancora non ci siamo». A parziale spiegazione di questa differenza va detto che a Praso le vigne sono a 720 metri di quota e i terreni troppo “sciolti”, con alto tasso di acidità. Per il bianco è un pregio il rosso può soffrirne. «Quest’autunno valuteremo di nuovo, sempre il tempo sarà buono senza grandine e ci lascerà una produzione completa».

Associazione Culturnova. «Come associazione seguiamo e partecipiamo con attenzione all’esperimento del Bim. All’inizio non tutto il Chiese era d’accordo, ma penso si sia compreso come sarebbe significativo avere un proprio vino locale da abbinare alla Farina di Storo e alla Spressa. Con il bianco ci siamo – spiega ancora Lolli -  e ci sarebbero molte persone  pronte ed anche impazienti per provare a coltivare, ma occorre dare una direzione e in agricoltura le sperimentazioni hanno bisogno di tempo».

Il Vino bianco sarà chiamato Chiese, mentre il rosso, se ci sarà, Bicò. «Lo spumante? Sarebbe bello anche se è una lavorazione particolare e ha bisogno di un’organizzazione più radicata».