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Basta chiacchiere |
Scritto da Tiziano Salvaterra |
Lunedì 10 Giugno 2013 05:25 |
Non vi è dubbio: la principale emergenza di questa nuova fase che caratterizza la vita europea è rappresentata dal lavoro; o meglio dal lavoro che manca. Vent’anni di “bengodi” hanno fatto bruciare le prospettive per il nostro tempo, specie in alcuni settori come quello dell’edilizia, dove l’aver costruito a dismisura in passato porta oggi il settore ad essere in una grave crisi, la quale si risolverà soltanto quando si saranno recuperati gli eccessi degli egoismi dei decenni precedenti. Da questo punto di vista, come ha sottolineato in maniera rassegnata Gaber, “la mia generazione ha perso”. Forse è proprio così. La nostra generazione non è stata in grado di garantire un futuro; ha lavorato per se stessa e per il proprio benessere, convinta che il bengodi sarebbe durato all’infinito, che le tasse si potevano anche non pagare e che si poteva lavorare con minor intensità e con una produttiva più limitata. Ora, per cercar di uscirne, si rischia di fare ancora del male. Tante chiacchiere, troppe chiacchiere, specie da parte di chi il lavoro ce l’ha. Analisi su analisi a livello nazionale, sulla stampa, a livello provinciale, nei bar davanti ad un bicchiere, sui tavoli del pranzo di Natale: tutti santoni della parola. Quasi che bastasse parlarne per poter trovare la soluzione al problema, che è ben altro. Per dare lavoro serve qualcuno che lo crea. Non servono parole ma fatti. Occorre farsi su le maniche, capire il mercato, avere il coraggio di osare e non fermarsi ad aspettare che qualcuno ti risolva il problema, perché il problema si risolve solo se c’è qualcuno, che rischiando, ti crea una opportunità di occupazione. Il mondo delle professioni sta cambiando velocemente; nascono nuove opportunità, quelle vecchie si consolidano in nicchie o in ambiti di alta qualità (penso ai falegnami, agli idraulici, agli elettricisti, ai manutentori ….). Per creare lavoro serve non solo coraggio ma anche competenza, conoscenza, una rete di relazioni significative, un tutor che ne sa più di te e ti può aiutare, una banca che crede in te, nel tuo progetto e rischia con te. Leggendo i bilanci degli istituti di credito, comprese le Casse Rurali, ci si accorge che non è sempre cosi. Da un paio di anni ogni bilancio-spesa dei crediti risulta non più esigibile, come previsto dalla normativa bancaria, e questo è giusto: il problema consiste nel fatto che questi crediti per lo più appartengono a società immobiliari, cioè alla speculazione edilizia dei decenni precedenti. In altri termini, oggi le Banche sono costrette ad eliminare crediti, che non avranno più indietro, legati al settore che oggi è il più in crisi (quello edilizio). Abbiamo costruito troppo: chi ha costruito in passato, oggi, non è più in grado di restituire i soldi presi a prestito, ma nel contempo ha saturato un mercato oggi profondamente in crisi. Al contrario chi oggi presenta un progetto meditato, studiato, secondo i canoni più moderni della progettazione aziendale, si sente liquidato con un “si vedrà passi un’altra volta”. Chiacchiere, come quelle pronunciate in pompa magna alle assemblee annuali di grande interessamento verso “il nuovo che avanza”. Se si osserva il fenomeno dalla parte di chi il lavoro non ce l’ha e lo reclama, la situazione è piuttosto articolata. Capisco e condivido il comportamento di chi manifesta, poiché la politica, la società, qualcuno dovrebbe offrire un posto di lavoro, purché questo sia associato ad una vera ricerca e ad una reale preparazione, riconversione delle proprie competenze, disponibilità in nuovi spazi occupazionali anche a redditi inferiori. Non condivido, al contrario, chi vive la propria esperienza di disoccupato come un periodo di transizione protetto, specie in provincia di Trento, da interventi pubblici, tali da disincentivare la ricerca o anche l’accettazione di un posto. Più volte mi sono trovato a cercare di selezionare, su richiesta di qualche azienda trentina, dalle liste di mobilità o di coloro che erano in cassa integrazione, soggetti da assumere e sentirmi dire da tali soggetti di non essere interessati “tanto vado al mont” o faccio qualche piccolo lavoretto e guadagno più di prima. Si rischia, così, che da un lato cresce la disoccupazione e dall’altra vi è ricerca di lavoratori; un vero controsenso. Anche qui, basta chiacchiere, basta lamentele facciamoci su le maniche e pedalare. Infine, un ragionamento va fatto verso le nuove generazioni. La tentazione di vivere le possibilità di lavoro in maniera fatalistica, senza un progetto di vita e di vita professionale, senza speranza per il futuro è alta specie negli adulti che, di conseguenza, la travasano sui giovani. Anche le attività di orientamento sono decisamente scarse ed, molto spesso poco qualificate, per offrire ai giovani le ragioni di una prospettiva. Eppure il lavoro non manca e non mancherà; solo che sarà diverso, avrà bisogno di una compartecipazione nel rischio, non sarà fisso, necessiterà di conoscenza e competenza, arriverà più avanti nell’età perché più tardi si andrà in pensione (o in riposo graduale...), avrà maggior intensità (perché la produttività è troppo bassa). Non è diffondendo negatività, paura, difendendo i propri privilegi, che si crea un futuro. Molti giovani lo hanno capito anche se è più di moda parlare di coloro che invece hanno ancora bisogno di maturare la scelta oppure spendono il loro tempo a lamentarsi o a imprecare. Ed allora non servono chiacchiere ma l’impegno di tutti, io, tu, noi per primi; per recuperare almeno un po’ dei danni che la mia generazione ha procurato ai suoi figli. |