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Scritto da Paolo Magagnotti |
Venerdì 15 Febbraio 2013 12:54 |
Lo scorso 23 gennaio il primo ministro del Regno Unito David Cameron ha pronunciato un discorso Camera dei Comuni, il Parlamento britannico, sul futuro del suo Paese nell’Unione Europea. Si è trattato di un intervento che pone molti interrogativi e non poche preoccupazioni sul progetto di unificazione del Vecchio Continente. Il discorso è stato posto alla base della sua più volte annunciata volontà di promuovere una radicale rinegoziazione dell’impianto istituzionale dell’Unione, soprattutto per rapporto alla Gran Bretagna, per poi sottoporre il tutto a referendum popolare. Nelle brevi premesse ha fatto riferimento ad una condivisibile ricostruzione storica dei fatti che hanno portato al processo di integrazione europea, con successivo richiamo a ad alcuni importanti valori ed alla giusta necessità colmate il gap fra cittadini ed Istituzioni europee. Nel prosieguo, si è concentrato sugli interessi che il Regno Unito può o non può avere restando nell’Unione Europea, ignorando fondamentali esigenze di solidarietà. Ricordando che per i britannici il fatto di vivere su di un’isola “la geografia ha forgiato la psicologia”, Cameron ha detto che l’obiettivo del suo discorso era quello di “spiegare ciò che vuol ottenere per la Gran Bretagna e la posizione della stessa nell’Unione Europea”. Una posizione, insomma, di difesa futura degli interessi britannici, come se l’Unione Europea fosse un soggetto di negoziazione bilaterale e non una organizzazione di più soggetti all’interno della quale tutti debbono agire per il bene comune. Sollecitando un rafforzamento della competizione – ignorando che l’Unione Europea ha già robuste norme in materia – Cameron sottolinea che “al centro dell’Unione Europea deve esserci, come vi è ora, il mercato unico” e ricorda che “la Gran Bretagna è al cuore del mercato unico e tale deve rimanere”. Nell’auspicare “flessibilità” nell’applicazione delle norme europee, il premier britannico ha avuto la brillante idea di chiedere per il mercato unico “un quadro comune di norme ed una via per il loro rafforzamento” lasciando intendere che serviranno eccezioni che privilegino la Gran Bretagna. Il Regno unito, dunque, che già non fa parte dell’area Schengen, dove non vi sono controlli ai confini, e dell’Eurozona, se dovesse continuare ad essere parte dell’Unione Europea, vorrebbe severe norme comuni a tutti, salvo che per la Gran Bretagna, la quale continuerebbe a scegliere ciò che le fa comodo. Cameron è convinto che “tutti abbiamo bisogno della moneta unica nel lungo termine”, ma al tempo stesso si affretta a dire alla Camera dei Comuni che la Gran Bretagna “non avrà mai l’Euro”. Non so fino a che punto Cameron fosse e sia cosciente di giocare con il fuoco. L’adesione del Regno Unito alla Comunità Europea, esattamente 40 anni fa, il primo gennaio del 1973, è stato preceduto da due fasi politiche opposte. Inizialmente il disinteresse di Londra che ha dato vita ad una sorta di contro mossa promuovendo l’EFTA, Associazione Europea di Libero Scambio, ed in seguito, cosciente fra l’altro dell’utilità di un mercato comune, la richiesta di adesione bocciata due volte per la posizione contraria del presidente francese Charles De Gaulle e in seguito accolta con il suo successore Georges Pompidou. A parte i primi anni di adesione ed il periodo di governo del primo ministro Tony Blair, il sodalizio britannico nell’Unione Europea non è mai stato facile, soprattutto negli anni della signora Margaret Thatcher, che si distinse per dire no a quasi tutto. Va detto che in Gran Bretagna non vi è mai stata una convinta azione politica per portare argomentazioni valide di fronte ad una certa stampa populista non favorevole all’unità europea. Attualmente David Cameron deve fronteggiare forti contrasti interni al suo partito conservatore, con la conseguenza di atteggiamenti che possono danneggiare in prospettiva gli interessi del suo stesso Paese. Tutti siamo coscienti che creare unità nell’Europa delle molteplici diversità non è facile. Certo è che se le posizioni del primo ministro britannico dovessero concretizzarsi in un referendum tale da portare all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, le complicazioni politiche non si limiterebbero all’interno dell’Unione ed all’Europa in generale. Considerando gli storici legami di Londra con Washington, non sono da escludere riflessi in qualche misura non del tutto positivi nei rapporti europei con gli Sati Uniti. Tuttavia, le incertezze britanniche sulle relazioni con l’Unione Europea non possono più durare a lungo. Diciamo che il discorso di Cameron ha avuto l’effetto positivo di avviare finalmente un dibattito sull’Unione Europea e la posizione britannica al suo interno. Un dibattito che dovrà vedere tutti i Paesi dell’Unione impegnati a trovare soluzioni concilianti; Londra, peraltro, deve essere cosciente che non si possono pretendere compromessi ad ogni costo.
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