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Natale sempre vecchio e sempre nuovo
Scritto da Don Marcello Farina   
Giovedì 29 Novembre 2012 13:39

Sempre vecchia e sempre nuova compare la festa di Natale, luce sbiadita per alcuni, fiamma vivace per altri, una traccia comunque per entrambi, segnata dalla tradizione o aggiornata ogni volta dalla fede, incisa comunque nella storia dell’umanità. Natale odora di secoli e, insieme, profuma di nuovo, per quel suo ricordare che le donne e gli uomini di ogni epoca trovano “necessario” (si intende in senso “umano) evocare una nascita come tenue filo di rigenerazione, di speranza, di fecondità, in un mondo che, di per sé, ha sempre privilegiato la contemplazione della morte, così spesso, del resto, vera compagna di viaggio del cammino dell’umanità. Come non ricordare qui le parole di Paul Ricoeur, grande interprete dela cutlrua del Novecento, che affermano che “non è abituale per i filosofi evocare la nascita”! 

Solo nel Novecento, nel secolo appena trascorso, l’attenzione per la nascita si è fatta frequente e profonda, soprattutto per merito di alcune grandi donne, come Hannah Arendt, Simone Weil, Etty Hillesum, Maria Zambrano, per quali la nascita “è il simbolo dell’”io posso”, al tempo stesso ricettività e iniziativa, e cifra della trasformazione del destino in libertà”.

Lo scrive in modo mirabile Hannah Arendt: “Se lasciata a se stesse le faccende umane possono solo seguire la legge della natalità, che è la più certa e sola fidata legge di una vita spesa tra nascita e morte. E’ la facoltà dell’azione che interferisce con questa legge, perché interrompe l’inesorabile corso automatico della vita quotidiana […]. Il corso della vita umana diretto verso la morte condurrebbe inevitabilmente ogni essere umano alla rovina e alla distruzione, se non fosse per la facoltà di interromperlo e di iniziare qualcosa di nuovo, una facoltà che è inerente all’azione, come a ricordare che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per incominciare”.

Noi siamo mortali, certo, ma non solo. Siamo anche natali: “nasciamo più volte, se compiamo i passi che la vita richiede e che sono un morire a una nostra forma e immagine, per nascere in una nuova: morire alla nostra infanzia e adolescenza per assumere la responsabilità adulta; morire alla forza della maturità per entrare nella vecchiaia fragile, ma memore e vigile, affacciata al compiersi del tempo datoci, che l’antica fede, non per nulla, chiamava il “dies natalis”, il giorno della nascita nella pienezza, liberi dal pungiglione della morte”. (Enrico Peyretti)

“Ogni essere umano – ci ricorda Maria Zambrano – ha una nascita incompleta e per questo non si è mai adattato a vivere naturalmente e ha avuto bisogno di qualcosa di più: religione, filosofia, arte e scienza. Egli non è nato né cresciuto interamente in questo mondo, perchè non si incastra perfettamente in esso e sembra che niente sia predisposto per lui; la sua nascita è incompleta e così il mondo che lo aspetta”. Il suo è “un andar facendosi non già la propria vita, ma un proseguire la propria nascita incompiuta, cioè un andar-nascendo (ir naciendo) nel caso della sua vita, non in solitudine, bensì con al responsabilità di aver visto, di giudicare e di aver giudicato, di dover edificare un mondo” (in Il sogno creatore, Maria Zambrano).

Andar nascendo, come l’aurora, che emerge dall’oscurità, all’insaputa, disinteressata, perché “nessuno entra nella nuova vita senza passare per una notte oscura...senza aver abitato una qualche sepoltura”. Anche per ogni donna e per ogni uomo vale il fatto che il seme deve essere deposto e che la notte è necessaria, perché si venga alla luce.