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Alla (ri)scoperta del vivere in montagna |
Scritto da Aldo Gottardi |
Sabato 05 Maggio 2012 08:07 |
Montanari per necessità o per scelta?” Questa è la domanda che è stata al centro dell’incontro sul “vivere in montagna oggi”, organizzato dall’associazione APS TerreComuni, in collaborazione con il Parco Naturale Adamello Brenta, la Provincia Autonoma di Trento e l’associazione Dreams. E a questa domanda ha cercato di rispondere l’ospite e relatore d’eccezione della serata, l’antropologo ed ex presidente del Club Alpino Italiano Annibale Salsa, attraversando nel suo interessante e coinvolgente discorso, tutte le tappe della storia dell’insediamento montano, dalle origini ai giorni nostri, evidenziandone le valenze politiche, economiche ed antropologiche. Salsa, che ha dedicato molti studi sull’antropologia delle popolazioni dell’arco alpino, ha esordito mettendo l’accento sul contrasto degli ultimi anni tra lo “spopolamento” della montagna verificatosi fino ai primi anni Novanta e un aumento del turismo montano, alimentato da una nuova enfatizzazione o “retorica della montagna”. Ci si domanda quindi, cosa spinge, cosa ha spinto e cosa spingerà ancora la gente a vivere in montagna? Necessità o scelta? “La situazione attuale” spiega Salsa “ è figlia del primo e secondo periodo industriale, periodo nel quale le valli alpine, che avevano raggiunto un livello di popolamento “critico” iniziano a spopolarsi a causa di vari fattori, da quello delle carestie a quello della ricerca di lavoro in pianura o all’estero (è il periodo dell’emigrazione). Per capire il tutto bisogna avere la percezione esatta della storia. Le valli alpine conobbero la colonizzazione nel medioevo tramite l’assegnazione di lotti di terra a contadini da parte dei signori feudali con speciali diritti di dissodamento. Questi diritti, sebbene garantissero sempre la proprietà del terreno al feudatario, di fatto garantivano ai coloni enormi libertà ed autonomie, completamente sconosciute ai contadini di pianura. Non erano quindi servi della gleba, e questo fu un punto importante per lo sviluppo del sentimento autonomista tipico delle genti alpine. Questa libertà proseguì fino alla prima metà del Settecento, quando l’accentramento dei poteri nelle pianure si fece più intenso e a farne le spese furono i privilegi di molte valli alpine (ad eccezione di particolari luoghi che avevano ottenuto “regole” o statuti propri).” Ma perchè proprio le Alpi? “Le Alpi sono, geograficamente, la spina dorsale dell’Europa e per molti secoli sono state fondamentali zone strategiche per il controllo dei territori centroeuropei. Questo periodo è stato la fortuna delle Alpi, per così dire. Una fortuna che è venuta a mancare al momento del frazionamento territoriale su base idrografica, attuato in tempi recenti, abbandonando il sistema rilievi/versanti, che fino dal medioevo aveva disegnato i confini delle Nazioni. Un simile cambiamento comportò crisi nelle identità delle popolazioni alpine, e di conseguenza grandi esodi di persone.” Solo un fattore geopolitico, quindi? Secondo Salsa no, e continua: “Ci sono stati molti errori madornali nella lettura del significato della montagna, poiché veniva intesa come una realtà marginale, in ogni ambito, col rischio di perdere tante tradizioni, spersonalizzandole” Si ritorna così a domandarsi: montanari per scelta o per necessità? “Nel medioevo, i montanari lo sono diventati per necessità economica e politica, ma poi, trovando delle condizioni favorevoli (libertà, proprietà ed autonomia), lo sono diventati per scelta. Tra il 1600 e il 1800, quando le condizioni nei territori montani iniziarono a peggiorare a causa di cambiamenti climatici, carestie, pestilenze e guerre, i montanari sono ritornati ad esserlo per necessità, perchè non potevano fare altrimenti, ed è in questo periodo che le valli alpine iniziano a svuotarsi. Verso la fine del Novecento invece si assiste al fenomeno inverso: i figli o i nipoti di “emigrati” ritornano alla montagna, sull’onda anche di un nuovo movimento di amore verso la montagna nato nelle grandi città italiane di pianura. E’ un fattore positivo, ma senza delle precise scelte politiche che vadano di pari passo, questo è un dato sterile. Il fatto non è il ripopolamento delle montagne, ma bensì il ritorno alle antiche prerogative che ogni valle aveva. La montagna rimane però ancora un “problema” nell’ottica di un’economia fordista/taylorista: è possibile un cambiamento, ma per attuarlo bisogna superare l’idea di centro-periferia.” “Troppi errori sono stati fatti ultimamente nella gestione dei territori montani! Si è persa la saggezza antica, basata sul buonsenso, che per secoli ha regolato il tutto. In più, si è assistito anche a un disinteresse dei giovani verso le professioni di montagna, come i pastori da alpeggio o itineranti, svilendone l’importanza per l’equilibrio dell’economia alpina, quando un tempo erano mestieri di tutto rispetto. Serve da questo punto di vista anche una più efficace informazione nei giovani, specialmente in una regione come il Trentino, che ha la quasi totalità del proprio territorio montuoso, affinchè si possano sentire orgogliosi di far parte di questo ambiente.” Idee radicali sono sorte durante la serata, ma fondamentalmente giuste: perchè abbandonare le nostre prerogative storiche in favore di un centrismo proveniente da ambiti che non ci competono o che non tengono minimamente conto delle nostre peculiarità? “ E’ importante ritornare a un’economia più concreta e reale, non una economia come quella di oggi, caratterizzata da spostamenti di capitali virtuali o di scelte azzardate: le scelte economiche degli ultimi tempi, non dimentichiamolo, hanno portato alla crisi nella quale siamo finiti.” Aldo Gottardi
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