Home Attualità “Una brutta avventura, ma ci siamo salvati”

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da r.b.   
Venerdì 03 Febbraio 2012 10:55

C’era anche una famiglia giudicariese sulla Costa Concordia, la nave da crociera protagonista del tragico naufragio davanti all’isola del Giglio nel quale hanno perduto la vita 17 persone. Quel 13 gennaio 2012 i coniugi Fiore e Lorena Amistadi di Roncone e i loro due figli non lo scorderanno probabilmente mai. La nave inclinata, i tavoli che “ballavano” sul pianale, la gente che strillava  in preda al panico e quei lunghissimi minuti prima di prendere la via della scialuppa, la salvezza verso la terraferma.

“Ho ancora davanti agli occhi quegli istanti  – spiega la signora Lorena – ricordo che ci trovavamo tutti e quattro al 3° ponte, e con i nostri figli stavamo seguendo lo spettacolo di un mago. Ad un certo punto la bambina mi fa “guarda mamma, il pavimento che pende”ma ancora faticavamo a capire perché e a renderci conto di quanto stesse accadendo. In pochi istanti, però, piatti, bicchieri, tavoli; tutto finì per terra ed è allora che la gente ha cominciato a capire che c’era qualcosa che non andava. Da lì sono partiti minuti convulsi, di grande agitazione”.

Che cosa avete fatto, allora?

In quel momento suonò la sirena di emergenza. Prima di iniziare la crociera avevamo partecipato ad una simulazione di incidente durante la quale ci erano state date delle indicazioni sul come comportarci. Ricordandole, ci siamo recati subito nelle nostra cabina a prendere i giubbotti salvagente e poi, su, veloci, al ponte 4, quello indicato per radunarsi in casi del genere.

Che cosa avete pensato in quei momenti?

Sono stati dei minuti lunghissimi, nei quali nessuno sembrava avere l’idea di cosa era successo né di cosa si dovesse fare. Ricordo che mio marito voleva scendere ancora in cabina a prendere le nostre giacche e giubbotti, ma io avevo paura che tornando sotto avrebbe potuto rimanere bloccato e l’ho pregato di non farlo.

Poi?

Noi quattro siamo sempre rimasti uniti e questa era la cosa che ci dava maggiore forza. Penso cosa sarebbe accaduto se l’incidente ci avesse sorpreso distanti.. Fatto sta che il motivo di maggiore inquietudine era di non sapere in che posizione fossimo esattamente, “quanto mare” avessimo davanti. Dietro le scialuppe di salvataggio ancorate a mezz’aria, infatti, c’erano dei grossi teloni che ci impedivano di vedere le luci dell’isola e dunque non sapevamo nemmeno orientarci. Questo ci angosciava.

Quanto tempo siete stati in quel punto?

Un’ora e dieci circa, un tempo che pareva interminabile, nel quale pensavamo a che cosa fare, senza essere rassicurati da nessuno. Del personale di bordo c’erano solo cuochi e camerieri che ne sapevano quanto noi e come noi angosciati e in preda al panico. In quei momenti ho chiesto ad un tedesco che era lì davanti a noi se sapesse nuotare; abbiamo pensato di affidare a lui i nostri figli se le cose fossero andate male.

Poi?

Un’ora e dall’altoparlante dicevano che non era nulla ma nell’aria si sentiva che c’era qualcosa di grave, di irreparabile. Ricordo che fu un cuoco a prendere l’iniziativa: era tesissimo, stufo di attendere chissà cosa in quella posizione. Fu lui, di fatto, a “decidere” di salire in scialuppa e di andarcene. Siamo scesi a terra fra i primi e alle 11.20 eravamo sull’Isola del Giglio a seguire angosciati quanto avveniva sulla nave; ci hanno portato dapprima in una Chiesa, poi abbiamo passato la notte in un pullmann verso Porto Santo Stefano, lasciandoci alle spalle il teatro del disastro. La mattina dopo eravamo a Savona.

Ha riguardato nei giorni seguenti in Tv le immagini della sciagura e il “processo mediatico” al comandante Schettino?

Devo dire che l’ho seguita molto poco in Tv, perché mi faceva molta impressione vedere la nave in quella posizione, e – nel ricordo della notte – anche l’acqua alta mi mette un certo senso di agitazione.

La domanda è quasi d’obbligo. Tornerà in futuro in crociera?

Ora come ora dico di no. La paura è stata tanta