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Traduzioni e Comunicazione

Scritto da Alessandro Togni   
Martedì 01 Novembre 2011 06:59

L’idea di Alexandra Koch, curatrice del progetto “Il Monte Analogo”, si fonda sulla possibilità di aprire ad esperienze artistiche contemporanee che si realizzino sul territorio “ai piedi del Brenta”, che a questo territorio si ispirino, dentro verifiche e dialoghi fra la natura, gli artisti, gli osservatori, per una specifica volontà di presentare nuove soluzioni per l’arte, attraverso culture e sensibilità diversificate poste in diretto rapporto.

Si è tenuto nell’autunno scorso il quinto appuntamento voluto da/e presso “La Casa di Wilma” a San Lorenzo in Banale, al quale hanno partecipato gli artisti: Giancarlo Lamonaca, Urszula Markuszewska, Marco Massante, Falk Messerschmidt, Valeria Radaelli, Eva Walker; ed oggi la presentazione delle opere che allora furono pensate e realizzate durante una settimana di soggiorno è avvenuta presso le Sale Expo del Centro Studi Judicaria a Tione di Trento.

Ecco quindi le 6 opere per una mostra complessiva in grado di sottolineare elementi culturali diversificati, personalità tese a ricercare nuove forme espressive attraverso tradizionali e nuove metodologie, sperimentazioni utili ad aprire la percezione che abbiamo della montagna e del mondo.

Le tecniche del resto hanno consentito specificità piuttosto smarcate le une dalle altre e mentre una riproposizione delle dinamiche pittoriche ha rivelato l’attitudine storicizzante all’impiego della pittura, altre disposizioni hanno favorito materiali maggiormente legati alla modernità indicando manifestazioni con la fotografia digitale e con la video installazione. Proprio il rapporto fra manualità e tecnologia sembra essere il contenuto primario di questa esposizione in equilibrio fra passato e futuro; così, attraverso indagini plurime che non disdegnano ed anzi contemplano la casualità di alcune risoluzioni, o prevedono semplici e surreali accostamenti oggettuali, troviamo anche la risolutezza delle macchine, delle telecamere e dei computer,  per  immagini e nuove estetiche della virtualità.

Giancarlo Lamonaca (vive e lavora a Varna in Alto Adige)  elabora immagini fotografiche di grande formato dove centrale appare la grandezza della montagna, il suo fascino silenzioso e la livrea contrastata fra bianco e nero, pure se la sua stessa visibilità sembra smarrire il contenuto materico e la densità, proprio per le evanescenze che la computergraphic le restituiscono. Sovrapposizioni e dissolvenze per ulteriori osservazioni con inevitabili ampliamenti percettivi che si fissano non solo sugli occhi ma nell’anima.

Ula Markuszwewska, nasce, vive e lavora a Varsavia. La sua opera riavvolge la storia e la memoria attraverso una forma dicotomica che pone la pittura fra astrattismo ed espressionismo, in congiunzione con talune inclinazioni oggettuali di estrazione Pop. Mentre l’immagine risolta sulla tela impiega materie, segni e stesure di colore in forma “accademica”, l’installazione “informale” che completa l’opera, pare voler spezzare e porre una linea di demarcazione fra patterns classici e contemporanei.

Marco Masante di Milano pone la sua opera esclusivamente nel “panorama della luce” e realizzando un nostalgico cortometraggio, sembra voler documentare la possibilità di un ritorno ad un mondo antico, repentinamente abbandonato dalla civiltà attuale. Il video è realizzato con la partecipazione della filodrammatica di S. Lorenzo che ha permesso le riprese e l’utilizzo delle immagini delle prove teatrali per la “Ciuiga”. Il risultato dal carattere crepuscolare muove con leggerezza fra luci e aperti squarci panoramici nei giorni d’autunno, fino a ritornare “dentro” le case, in ascolto delle storie e dei racconti, accanto al fievole e semplice bagliore delle candele.

Falk Messerschmidt vive e lavora a Lipsia ed è diplomato in fotografia all’Accademia d’arte della città. La sua opera composta di 16 esemplari si realizza dentro una sequenza in bianco e nero dove l’immagine iniziale restituita da una cartolina “fotocopiata” subisce un lento quanto inesorabile degrado dovuto proprio alla riproducibilità che porta infine ad un quasi totale svuotamento – dissoluzione. E’ il senso di evacuazione della materia che ci rende insicurezza ed allarme, il sentimento di smarrimento per qualcosa che stiamo perdendo.

Valeria Radaelli, diplomata come maestra d’arte a Como considera la sua opera come la summa di tutte le esperienze emozionali e il modello di rappresentazione del suo pensiero. Ecco le superfici di cartone, povere e rettangolari, alle quali viene aggiunto il colore nella sua forma più basica e significante. I primari rosso, giallo e blu sono così intesi nella loro essenza originale “di verità” senza intromissioni alcune, senza commistioni e surrogati che ne riducano la potenzialità espressive e comunicazionali.

La forma collage nell’impiego di materie diverse riesce infine a compenetrare linguaggi distanti, come fossero oriente e occidente, entrambi relazionati dalla Natura.

Eva Walker vive e lavora a Berlino e ha studiato incisione presso l’Accademia d’arte di Halle.

La sua tecnica determinata nell’insieme di segni e superfici in bianco e nero dispone per una figurazione incorporea dove il non finito sembra indurre e trasportare i nostri sentimenti in un luogo struggente, attraversato da un’atmosfera lievemente malinconica. Un mondo indefinito dove appare la semplicità di una scena biografica attrezzata solo di “assenze” da riempire con le nostre facoltà cromatiche.

(“Il Monte Analogo” è realizzato con il contributo della Provincia Autonoma di Trento e con il patrocinio del Centro Studi Judicaria).

 

 

Quando anche il nonno ricorda Steve Jobs

Qualche settimana fa un simpatico nonno che stava imbiancando gli interni della sua modesta casa, in un paesino della Busa di Tione, mi disse: “Sai, ieri, per proteggere il pavimento dalle gocce di tinteggiatura, stavo stendendo a terra dei fogli di vecchi giornali che avevo accatastati in cantina. All’improvviso ho notato in uno dei vecchi fogli stesi che stavo per calpestare una grande foto sbiadita di quello là, quello dei computer… come si chiama…? Bill Jobs…, no, Steve Jobs… sai, quello che aveva fatto quei computer… Lo sai, è morto, pover’uomo. Allora mi son fermato un attimo, ho rimosso quel foglio e l’ho messo da parte, per rispetto… L’ho appoggiato proprio qui, in cantina, sopra la cassetta di mele… Poi mi è venuto da sorridere… Lo sai no che i suoi sono quei computer della mela…”.

Quel nonno, seppur giovane, non appartiene certo alle generazioni cresciute o nate nell’era della tecnologia informatica più spinta: l’era attuale, in cui si è quotidianamente a stretto contatto, per necessità o piacere, con apparecchi elettronici dai nomi avveniristici (notebooks, smartphones o tablets ad esempio, e cioè computer portatili, “telefoni intelligenti” o piattaforme digitali portatili). Eppure anche quel nonno ha saputo riconoscere, e ricordare, a modo suo, Steve Jobs, fondatore californiano della notissima azienda informatica statunitense Apple, scomparso lo scorso 5 ottobre dopo una lunga malattia.

Della scomparsa di Jobs se ne è parlato molto, la sua morte ha avuto un’enorme risonanza in tutto il Mondo. E non è mancato, in riferimento a ciò, chi ha ritenuto esagerato il frastuono mediatico sorto: molti hanno criticato il fatto che un abile e brillante informatico scomparso a cinquantacinque anni sia stato trattato come una vera e propria star, osannato in tutto il Globo come un eroe moderno.

Forse è vero, se ne è parlato tanto – e d’altro canto i mezzi di comunicazione di massa hanno da sempre bisogno di creare idoli da dare in pasto ad un pubblico affamato di favole e miti – ma forse il fenomeno, e in particolare il personaggio Steve Jobs, non è da sottovalutare. In fondo, se, in tutto il Mondo, non soltanto tecnici informatici ed esperti del settore, ma tutte le persone comuni, e addirittura il nonno della Busa, hanno recepito e mostrato interesse per la notizia, allora forse si tratta davvero di qualcosa di importante, e si pone come necessaria una riflessione più approfondita.

Steve Jobs è stato un genio capace di rivoluzionare il mondo della tecnologia informatica e impartire ad essa un’accelerazione evolutiva senza pari nella storia. Sempre un passo più avanti rispetto al presente, Jobs è stato uno dei principali protagonisti nel rendere domestico e popolare, alla portata davvero di tutti, l’utilizzo del computer. Tra i primi ad introdurre ad esempio il mouse, a lui è da attribuire la creazione della notissima interfaccia a icone oggi presente su ogni macchina. Il punto è, però, che Steve Jobs non è stato soltanto un illuminato tecnico informatico: è stato molto di più. Da qui nasce la grandezza, forse non pienamente colta, del personaggio. Egli è stato un abilissimo manager d’azienda, capace di fondare un marchio di successo e di portarlo ai vertici dei mercati mondiali. (Si dice sia stato uomo spietato nella sua intraprendenza manageriale, senza scrupoli, glaciale, burbero, ma l’opinione pubblica non può che constatare gli impressionanti risultati ottenuti dalla sua ditta). Jobs è stato anche un esperto di marketing, talentuoso nel saper conquistare le masse, guidarne gusti e scelte. Ha saputo creare una community mondiale, fidelizzata grazie a prodotti sempre nuovi, dal fascino per molti irresistibile; prodotti contraddistinti da una tecnologia collaudata combinata sempre ad un raffinato e accattivante design. Jobs ha dato vita a prodotti multimediali trasformatisi in veri e propri oggetti di culto, ha avuto la capacità di creare mode, di generare nuove necessità, di produrre strumenti e renderli indispensabili. Si pensi al cosiddetto “melafonino” di casa Apple, oppure al noto lettore di file audio mp3 Apple, per mezzo del quale, tra l’altro, egli è stato capace addirittura di stravolgere il sistema di distribuzione e fruizione mondiale di musica. Tutto questo, come se non bastasse, grazie ad un’altra sua dote: una capacità comunicativa incredibilmente vincente. Oltre a ideare spesso personalmente le campagne pubblicitarie Apple, Jobs ha saputo legare il proprio volto, la propria immagine ai nuovi prodotti che lui stesso presentava sul mercato. Icona di successo, era un vero guru, seguito e quasi venerato. Soltanto l’intima e privata dimensione della malattia che lo aveva colpito, resa discutibilmente pubblica perché notizia dal peso finanziario rilevante (si ricorda il crollo delle quotazioni in borsa della azienda Apple nel momento dell’annuncio della malattia del suo creatore) aveva ridelineato un’immagine più umana e terrena di Steve Jobs, per la prima volta percepito come uomo comune e vulnerabile.

Insomma, alla luce di tutto questo, risulta forse più comprensibile il motivo di tanto frastuono alla notizia della sua scomparsa: si capisce forse la portata, la straordinaria forza di quest’uomo, l’importanza e il potere che ha avuto, per la sua capacità di influenzare le masse, i comportamenti e le abitudini, di creare adepti, di condizionare i mercati, e per il ruolo di innovatore geniale che ha rivestito.

Moderno rivoluzionario, dominatore, eroe dell’era digitale e del progresso, sarà la storia a celebrarne la memoria. Nel frattempo, in tutto il Mondo un vastissimo popolo convertito alla “religione” della “mela col morso” (simbolo di Apple) ne piange la scomparsa guardando con malinconica sfiducia ad un futuro privato della stella di un genio; e anche un simpatico nonno delle Giudicarie, nella sua piccola casa fresca di rinnovato bianco, seppur indifferente alla tecnologia digitale galoppante, rende omaggio silenzioso a Steve Jobs, quello “dei computer della mela”.