Home Il Saltaro Un’estate al mare (fra donne & politica)

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da Il Saltaro   
Giovedì 08 Settembre 2011 20:47

L’Abele è reduce dal mare, incazzato nero, l’ha giurato alla sua domestica, (così chiama nei momenti più teneri la moglie Teresa) che non rompa più le palle, lui, Abele, figlio di Genesio, kaiserjager dell’Imperatore, al mare non ci metterà più piede, ne fuori, né dentro l’acqua, e se la Teresa ci vorrà tornare che trovi un altro uomo, ma lui, mai più, per Dio, piuttosto andrà a fare compagnia al Fiorani, lassù in montagna, in mezzo agli orsi, che con un paio di bottiglioni vive felice per una settimana. 

La Teresa lo sopporta, povero tapino, ma non ha gli da tutti i torti. Non è più il mare di una volta. Non che l’acqua sia cambiata, puzza sempre alla stessa maniera, è il resto che è cambiato e l’Abele, il suo uomo, non riesce ad accettarlo. Lo spiega a chiare lettere lo stesso Abele nell’osteria del Carlino ai suoi amici curiosi di controllarne l’abbronzatura e di sapere il resto, per niente tranquillo, del loro soggiorno al mare, suo e della Teresa, moglie ed infaticabile domestica. Il vostro Saltaro non può che ascoltare le lagnanze dell’amico, luce dei suoi poveri occhi, per compatirlo e per raccontarvi quel che esce dalla sua bocca, di solito parole sagge, che sono di monito al mondo intero. Ecco la sua esperienza che è come un libro stampato, da leggere e meditare. “Che ci vado a fare al mare, porca d’una miseria, che quando sei in spiaggia per godere delle opere divine, ti si parano davanti quattro vecchie carcasse, con  tutto il loro bagaglio cadente che sembrano pronte per la rottamazione. Non c’è pudore, non c’è un minimo di decenza, dove sono i fiori più belli del creato che mi facevano slanguidare nella mia gioventù, sembra che ormai le donne nascano già vecchie e vengano al ad esporre il proprio armamentario speranzose di suscitare ancora caloriche occhiate e libidinose meditazioni. Povere illuse! Con quello che ti fanno vedere alla televisione, uno s’aspetta una spiaggia ripiena di coralli, diamanti, ametiste, giade e cristalli, e invece non ci sono più le donne di una volta, per Dio, anche la mia domestica fa la sua figura, è meglio che me la tenga stretta che non c’è molto di meglio sul mercato. Poi non ti dico dell’albergo, che seppur a quattro stelle, ti ritrovi fra pensionati in dentiera e zitelle impomatate, che s’avventano sul “buffet” come belve affamate, che se non ti sbrighi, rischi di rimanere con gli avanzi, sputacchi compresi e briciole di miseria. Povero me, al mio tavolo esigo, al centro, una bottiglia di vino buono che del pasto è il miglior digestivo, e il cameriere mi guarda come fossi un alcolizzato, non beve più nessuno e io faccio scandalo, non c’è tavolo che mi accompagni, l’alcolizzato sono io e solo io e mi guardano con commiserazione. Poi consigliano a noi, non più giovanissimi, di relazionare con il prossimo, di parlare, di cercare amicizie, per restare animosi, dicono, per non perdere il filo della vita.

La Teresa al mare ci va soprattutto per chiacchierare, per trovare compagnia e io l’accontento pensando che sia il toccasana per un solengo come me, macchè, appena ci provi suona il telefonino e sei fregato, quello ti pianta e se ne va col suo aggeggio e neanche più ti considera, sul dopopranzo, quando più d’ogni altro momento, hai bisogno di conforto e di solidarietà, in ogni canto ti ritrovi gente d’ogni specie, età e religione che con il telefonino all’orecchio, sembra che abbiano tutti gli affari dell’universo da sbrigare. E tu, che vorresti raccontartela con qualcuno, resti lì ad aspettare invano, fin che poi t’accontenti della moglie e te ne vai a perder tempo in negozi, negozietti e via dicendo. La cosa diventa drammatica se poi il tempo sgarra, con la pioggia è d’obbligo la visita a qualche centro commerciale, così vuole la tradizione e la volontà della moglie, che al mare si prende tutte le sue rivincite. Centro commerciale a fare “shopping” come dicono quelli che parlano di traverso. Gli accordi gli faccio prima e li faccio chiari, io ti porto al centro, poi ci separiamo, tu vai dove vuoi e compra quello che vuoi, e io vado per conto mio, t’aspetto al bar e da lì non mi muovo. Giuro che talvolta l’ammazzerei, ma poi mi dicono che è il supplizio che capita a tutti noi, poveri mariti, e agli uomini in generale.  Al bar, con sussiego, come fossi l’uomo più felice di questo mondo, comincio col caffè, poi la correzione, poi la birra che nonostante piova fa un caldo boia, poi ci metto un bicchiere di sangiovese, è il vino tipico della zona, non può mancare secondo quello sciagurato di barista che ormai ha mi ha conosciuto nei miei pregi e nei miei difetti.

Con tutte quelle dimostrazioni di così costoso affetto, mi sciolgo ed entro nella discussione, parlo di governo, di Berlusconi e delle sue donne, razza pregiata che sulla spiaggia neanche si vedono col lanternino, della sinistra menagramo e della destra sgangherata e del Bossi che di duro gli è rimasto ormai solo quel testone imbiancato che produce ben poco e quel poco comincia a puzzare. E finalmente comunico come volevano i miei consigliori, e mi infervoro, e parto per la guerra col Gheddafi, che se fossi io a comandare quello l’avrei già tolto dalle balle, e avrei risparmiato un sacco di soldi. Gli avventori che con me stanno aspettando anch’essi le loro donne, interloquiscono con brio, con proposte sagge, con battute intelligenti, c’è chi vorrebbe spaccare l’Italia in due e chi vorrebbe vendere Napoli ai tedeschi che in due giorni risolverebbero gran parte dei loro problemi. Per meglio capirci, provenendo tutti da regione diverse con diverse culture e diversi dialetti, non resta che , a turno, offrire da bere a tutta la congrega ed essendo numerosi, non sono più sotto controllo i i nostri sentimenti, e diventiamo sodali nella felicità della buona conversazione.  Al diavolo le donne, le mogli che ci stanno spendendo il capitale messo da parte per l’intero inverno, chi se ne frega, la discussione che ormai sfora i confini nazionali, ha ben più valore di quattro soldi sperperati dalle nostre compagne frustrate dall’essere costrette per tutto l’anno a fare la spesa in Cooperativa. Finalmente qualcuno s’accorge che è già sera e delle mogli nessun segno di vita, che si siano perse, magari!, va la che arrivano, questo è certo con pacchi e pacchettini, perchè dal mare devono portare regalini a tutto il paese, fratelli, sorelle, figli e nipoti, qualcosa alle amiche, al parroco, e alla badante, cose da pazzi. E finalmente arrivano come previsto e, più o meno in fila, e la Teresa è fra le ultime e mi squadra con l’animo innocente, ti sei stufato, mi chiede, spudorata!  Andiamo che è ora, rispondo quasi incazzato, ma poi nell’alzarmi sobbalzo, traballo, saluto a stento i nuovi amici,  e mi dirigo verso l’auto che ormai neanche so dove sia posteggiato. La misura è colma e nonostante il mio portamento dignitoso, lo vedrebbe anche un cane che sono ubriaco fradicio, e lo vede anche la Teresa, oh mamma, esclama e si rifiuta di seguirmi, un taxi, chiamate un taxi, io con questo in macchina non vado, grida ai quattro venti e la gente mi guarda sbigottita come fossi un malandrino. Il taxi, che neanche sapeva che esistessero la Teresa se non avesse visto la televisione. E poi volete che torni al mare, non se ne parli nemmeno. Io rimango sui miei monti, al mio paese, dove l’acqua fa male e il vino ti rinfranca, e dove la gente non si parla, ma si capisce con un cenno, con uno sguardo, con una manata, io al mare non ci torno più! Parola dell’Abele!”