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Foto 2010
Scritto da Antonio e Sergio Anghinelli |
Giovedì 08 Settembre 2011 20:41 |
Da oltre 40 anni i fratelli Anghinelli trascorrono nelle Giudicarie le ferie estive e conoscono ormai questa zona come la propria casa. Appassionati di archeologia e Soprintendenti in materia per il territorio lombardo, hanno dedicato uno studio ai ritrovamenti nel territorio della Valle del Chiese che qui vi proponiamo. Per lungo tempo si è ritenuto che la frequentazione umana nell’ambiente alpino fosse stata scarsa a causa dei territori poveri di risorse e inospitali. Le recenti ricerche condotte in modo intensivo, soprattutto a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, hanno invece dimostrato che queste regioni furono densamente abitate dai gruppi umani in ogni periodo della preistoria e della protostoria, in quanto offrivano un grande potenziale economico. Le tracce più antiche della frequentazione umana sino ad ora scoperte nella Valle del Chiese risalgono ad una fase tarda del Neolitico antico, rinvenute nei pressi del laghetto di Roncone, e altre ancora attribuibili al Neolitico recente della cultura dei vasi a bocca quadrata, rilevate nella loc. S. Lorenzo di Storo. Altre presenze più antiche sono state riscontrate nella Valle di Daone, presso ambienti umidi, in loc. Nudole e al lago di Campo, quest’ultimo a 1942 m.s.l.m., e sono probabili bivacchi stagionali estivi attribuibili a gruppi di cacciatori-raccoglitori del Mesolitico (7500-7000 a.C. circa), che frequentavano le alte quote per cacciare prevalentemente gli stambecchi. I manufatti di selce, riferibili al Neolitico, ritrovati a sud del laghetto di Roncone, attestano invece la prima fase di un mutamento sociale costituito dall’avvento della nuova economia basata sulla produzione del cibo con l’agricoltura e l’allevamento, che diventeranno nel tempo sempre più importanti. Più consistenti e di rilevante interesse si sono invece rivelati i ritrovamenti effettuati nell’ultimo decennio nei siti di Malga Vacil e Dosso Rotondo (ubicati ad alta quota a 1876 m.s.l.m. ) in comune di Storo, che hanno restituito reperti di ceramica e utensili di selce databili agli inizi del Bronzo medio (BM1, 1740-1630 a.C. circa), i quali sembrano attestare la pratica della transumanza durante la stagione estiva per lo sfruttamento delle aree prative da adibire a pascolo per gli animali di allevamento, quali bovini e caprovini. Molto singolare, ma significativa, è da ritenere la relazione comportamentale esistente tra il sistema di tale economia di alpeggio antico dell’età del Bronzo e quella attuale, rappresentata da una malga situata pressappoco alla stessa quota e, molto probabilmente, con le stesse finalità di quelle di epoca preistorica. Nel tratto di strada statale del Caffaro, in modo particolare nell’alta Valle del Chiese tra Tione e Lardaro, è stata rilevata nel tempo una cospicua concentrazione di abitati e frequentazioni dell’età del Ferro che, all’attuale stato delle ricerche promosse dalla Soprintendenza Archeologica della Provincia Autonoma di Trento, sembra attraversare un periodo di alcuni secoli, attestando quindi una considerevole continuità insediativa dal IX secolo circa a.C. sino al II-III sec d.C. Tale concentrazione e continuità della presenza umana lascia supporre che il territorio abbia a lungo costituito una sorta di “presidio” istituito all’imbocco della valle per il controllo dei traffici che avvenivano lungo l’asse di tutta la Valle del Chiese, quale via principale di comunicazione con la Valsabbia, la Valtenesi e quindi l’apertura con la pianura padana orientale. La differenza tra le due realtà ambientali, pianura e montagna, ha certamente determinato delle differenze nel sistema economico, per quanto riguarda lo sfruttamento dei vari tipi di fauna e flora ma anche per l’intera struttura sociale, e ha indubbiamente interagito sul comportamento in senso più generale. Gli abitati sono ubicati nei punti strategici che permettevano il controllo della valle ma la loro distribuzione areale sembra essere anche regolata in modo naturale dalla morfologia stessa. Nelle aree dove l’orografia presenta un’apertura che permetteva di utilizzare ampi spazi la presenza umana è più accentuata, mentre nei punti in cui si restringeva, riducendo così la possibilità di spaziare come ad esempio ad Anfo e Pieve di Bono, sino ad ora non sono state riscontrate tracce di frequentazione antica. È invece molto singolare il fatto che il tratto di territorio costituito dalla vasta piana di Condino, solcata al centro dal Chiese, non abbia mai restituito tracce consistenti di attività antiche, soprattutto se si considera la sua posizione geografica a contatto con la vicina piana di Storo, luogo in cui sono stati effettuati ritrovamenti riferibili a diversi momenti culturali. Il territorio di Storo è infatti situato in un punto strategico di collegamento non solo con le Giudicarie ma anche, attraverso la Val di Ledro, con l’omonimo lago e con il lago di Garda e il suo territorio, che da sempre è stato un motivo di attrazione per le popolazioni. Una rilevante presenza di tracce di insediamenti è stata resa nota nei pressi di Storo dalle ricerche intraprese negli anni 1981-82 da Giampaolo Dalmeri del Museo Tridentino di Scienze Naturali, che hanno fornito dati importanti e significativi per la conoscenza di questo territorio situato nell’estrema parte sud-occidentale del Trentino, in un arco temporale che va dal Neolitico all’età del Ferro, e oltre fino al periodo romano. Alcuni limitati saggi di scavo sono stati praticati in località S. Lorenzo, in un sito che ha restituito reperti databili ad una fase tardoneolitica con aspetti culturali della Lagozza (circa 4000-3500 circa a.C.). Alla quota di 600 m.s.l.m. è stato anche individuato un insediamento del Neolitico Medio della Cultura dei vasi a bocca quadrata, molto probabilmente di fase ad “incisioni ed impressioni” (circa 4200-3800 circa a.C.), a cui erano sovrapposti resti della seconda età del Ferro dell’orizzonte Retico. Sempre a Storo, come sopra già detto, le ricerche archeologiche nel sito di Dosso Rotondo, promosse dalla Soprintendenza, hanno chiarito alcuni aspetti connessi alle parti strutturali dell’insediamento, ma non è stato possibile stabilire la reale funzione dell’intero complesso. La scoperta di un piano d’uso e le impronte di alcuni pali infissi in verticale nel suolo suggeriscono la presenza di una struttura abitativa, ma la limitata area di scavo, limitata a soli 16,5 m. q., non ha permesso di chiarirne ulteriormente la reale funzione, anche se sembra logico supporre che la struttura sia servita come ricovero per gli uomini durante i periodi di alpeggio. I reperti della cultura materiale qui ritrovati sono rappresentati da cuspidi di freccia ed elementi di falcetto di selce e vari frammenti di ceramica, fra cui un’ansa con appendice di forma ad ascia che, nell’insieme, sembrano datare il sito alla media età del Bronzo, tra il 1740 e il 1630 a.C. per la fase più antica, sino al 1550 circa a.C. per la più recente. Bisogna considerare anche che la lunga permanenza da parte degli uomini e del bestiame alle alte quote e la difficoltà rappresentata dalla distanza dagli abitati stanziali che, prevalentemente, si trovavano nel fondo valle, ci fa pensare che i derivati degli animali quali i caprovini e i bovini, che dovevano essere munti quotidianamente, non venissero gettati e che non fossero portati a valle per essere lavorati. Sembrerebbe quindi logico credere che la lavorazione di tali prodotti avvenisse sul posto. Resti di lavorazione del latte con la presenza di sostanze come il caglio, sono stati riscontrati in alcuni siti del Trentino, ed è quindi possibile che ciò avvenisse anche nelle zone delle alte quote adibite ai pascoli nelle stagioni estive. Il rapporto tra le attività economiche dell’ambiente alpino e quelle della pianura padana mostra aspetti totalmente diversificati e chiaramente regolati dalle diverse realtà ambientali, dalla morfologia, ma anche dal clima e dal sistema ecologico. Nell’arco alpino si nota una prevalenza dell’allevamento, mentre nella pianura sembra maggiormente praticata l’agricoltura con un’intensa coltivazione dei cereali. Inoltre l’economia montana doveva essere anche regolata in modo naturale dalle diverse quote in cui era praticata, presentando così varianti ambientali più complesse di quelle della pianura. Altri rinvenimenti isolati, non legati a contesti precisi, ma ugualmente importanti al fine di documentare la presenza umana in diversi momenti nell’ambito territoriale, sono avvenuti nella zona del dosso denominato Castèl, in comune di Breguzzo, a nord-est del paese, dove nel 1856 furono ritrovati un cucchiaio ed un coltello di bronzo: quest’ultimo è stato denominato con il nome del paese, cioè tipo Breguzzo, ed è databile al 1250-1200 a.C., inquadrabile tra la fine del Bronzo recente e gli inizi del Bronzo finale. Altri rinvenimenti avvenuti recentemente sono costituiti da due monete di Faustina del periodo romano (ora disperse). E ancora nella località Castèl, agli inizi degli anni ’70, durante la messa in posa delle fognature e del depuratore, si rinvenne un boccale di ceramica. Nel 1975 Renato Perini effettuò un sondaggio sulla sommità di questo dosso e pubblicò i risultati dello studio l’anno seguente, affermando di avere rinvenuto resti di un abitato associati a vari frammenti di ceramica, fra cui uno di particolare interesse, un frammento di boccale, con due lettere incise, attribuibile all’”orizzonte culturale retico”. Ulteriori tracce riferibili ad età protostoriche sono state rilevate nella loc. Corede ed altre ancora a sud del paese, nelle immediate vicinanze della sponda sinistra del torrente Arnò. A Breguzzo sono attualmente in corso ricerche archeologiche mirate, promosse dalla Soprintendenza e dirette dal dott. Paolo Bellintani, eseguite dagli operatori della Società Archeologica CORA, nel sito dell’età del Ferro ubicato a nord del cimitero, che hanno evidenziato importanti parti strutturali di un probabile abitato. La frequenza dei ritrovamenti sembra indicare questa zona come un’area ad alto rischio archeologico. Due pugnali di bronzo rinvenuti in comune di Bondo, in una località non precisata, sono stati segnalati dal signor Ambrosi nel 1876: uno di questi compare come tipologia anche nella pianura padana orientale, in provincia di Cremona ed è databile al periodo del Bronzo medio (1500 circa a.C.), mentre l’altro, a base sub-triangolare, è inquadrabile ad una fase avanzata del Bronzo antico (1900-1700 circa a.C.) e confrontabile con altri esemplari simili provenienti dagli importanti abitati di Ledro e Fiavè. Nel 1987 il dott. Enrico Cavada della Soprintendenza Archeologica di Trento, effettuò un saggio di scavo sul dosso di Pedevle, posto nei pressi del Cimitero Monumentale di Bondo e portò alla luce resti di fondazioni murarie legate con malta, unitamente a frammenti di ceramica e ad alcuni reperti di ferro d’età romana, datati ad epoca tardo imperiale, tra IV e V secolo d.C. Altri indizi della stessa epoca furono riscontrati recentemente sia ad est che a sud dello stesso luogo, a testimoniare una intensa attività avvenuta in zona in tale periodo storico. Le prime notizie di ritrovamenti nel territorio di Roncone risalgono alla metà dell’Ottocento, quando due fratelli, fabbri di professione, abitanti in Via Grosta, raccolsero una roncola di bronzo che nel 1853 fu donata al Museo Patrio di Brescia. Pressappoco nello stesso periodo, in località Costa di Rio, fu rinvenuta un’ascia ad alette anch’essa di bronzo: ambedue i manufatti sono attribuibili al Bronzo recente (XII sec. a.C. circa). Nonostante si tratti di rinvenimenti non associati a contesti abitativi, documentano comunque la frequentazione del territorio in quel periodo. Di notevole interesse è anche l’iscrizione in caratteri retici-etruschi rinvenuta nel 1916 in località Dosso dei Morti di cui si sono poi perse le tracce e della quale è rimasta solo una riproduzione costituita da un disegno, conservato presso il Museo Civico di Rovereto. Nel demolire Casa Polana, nel 1918, in località Dosso, sono state rinvenute due tombe di epoca non determinata, formate da ciottoli, il cui corredo è andato disperso. A Roncone resti sporadici si sono evidenziati in superficie sulla sommità del dosso ubicato a sud del paese, ed altri ancora sul Dosso Abelano situato tra Fontanedo e Lardaro, in quest’ultima località i reperti erano associati ad elementi strutturali affioranti, di epoca medioevale. Altre testimonianze sono emerse pochi anni orsono sul dosso parallelo a Via III Novembre, nei pressi del Municipio, attribuibili al periodo retico. Tracce analoghe provengono dalla zona situata a circa 200 m a nord-est del cimitero, ed altre ancora dai dintorni di Villa Glori. Questa densità insediativa sembra attestare un’intensa frequentazione durata nel tempo e nello spazio, sia sui dossi, o “Castellieri”, sia nella piana del fondovalle. Di rilevante importanza si sono dimostrati gli interventi di scavi archeologici programmati dalla Soprintendenza nella zona industriale di Fontanedo. Il sito è ubicato a 762 m.s.l.m., sul conoide del rio Vanecle, e risulta essere stato occupato in vari momenti durante il I millennio a.C., nella prima e nella seconda età del Ferro. Qui scavi sistematici hanno evidenziato parte delle strutture di un’abitazione e materiali ceramici, che datano il sito nella sua prima fase di occupazione fra IX-VIII sec. a.C., ma sembra aver funzionato a lungo per un arco cronologico compreso fra VII-VI e III-I sec. a.C. Nel complesso il tipo di strutture e i materiali in ceramica sembrano indicare un orizzonte culturale Fritzens-Sanzeno, della seconda età del Ferro. Tra i reperti più significativi emersi nel corso dello scavo si annoverano gli elementi di fondazioni formate da ciottoli, di una casa di circa 10 m di lunghezza per 6 di larghezza e altre strutture ad essa adiacenti. Di carattere cultuale è da ritenere l’elmo dell’età del Ferro, inquadrabile al VI secolo a.C., rinvenuto nella Valle di Daone sulla cima di un monte, che trova riscontri con altri luoghi caratterizzati da offerte votive generalmente rappresentate da armi, rinvenute su cime dei monti, in torrenti, fiumi, laghi e stagni. Come è deducibile dai dati sopra elencati le presenze archeologiche di maggiore rilievo del territorio preso in esame sono soprattutto concentrate nel fondovalle, dove evidentemente si svolgevano le attività più importanti e quotidiane. Ma per ora non si conoscono quelle relative al’utilizzo delle aree adibite alle eventuali produzioni agricole, ai pascoli e allo sfruttamento, molto importanti per gli ambienti montani, delle foreste. Alla luce delle conoscenze attuali relative alla considerevole presenza umana in vari momenti della preistoria, protostoria ed epoca storica in questo tratto della Valle del Chiese, si evince che il territorio rappresenta un importante tassello nell’ambito dell’evoluzione delle comunità antiche del Trentino, e meriterebbe indagini più approfondite, al fine di valorizzare, tutelare e conservare tale patrimonio che costituisce le radici etniche della popolazione attuale. |