Per stabilizzare l’occupazione occorrono scelte forti. L’articolo 18 non è un tabù. Ieri sulle piazze e nelle strade dell’Italia si sono tenute grandi manifestazioni contro il lavoro precario. Due giovani generazioni di uomini e di donne senza futuro, senza diritti, senza contratti sono ti ormai costretti dai bassi salari alla pura sopravvivenza.
A dieci anni dalla bolla tecnologica di internet e dei call-center, quando economisti, professori universitari e giovani intellettuali scrivevano libri dal titolo “Un mondo senza lavoro” e il boom della finanza illudeva di guadagni senza limiti, la dura realtà della crisi immobiliare ed energetica deve oggi forzatamente aprire sullo stato di povertà a cui riduce il lavoro precario.
Una delle debolezze strutturali dell’economia italiana è infatti proprio quello della scomparsa economica di due generazioni, che inquadrate nel mondo del lavoro con contratti precari, non è stata poi in grado di dare continuità alla crescita e al futuro della nostra società, come indica i calo di nuovi nuclei familiari, di nuove abitazioni e di nuove attività produttive. Anche il mondo dell’occupazione trentina mostra numeri preoccupanti nel campo del precariato. Dal recente rapporto della Agenzia del Lavoro di Trento del 24 marzo le assunzioni nel 2010 in provincia sono passate da 130.085 del 2009 alle 134.040 del 2009. Nel complesso si è registrato n aumento degli occupati del 3% con un saldo positivo di 3982 unità rispetto al calo di 3087 del 2009. Ma siamo ancora sotto delle 142.131 assunzioni del 2007. Di questi 3982 posti, 2731 sono stati assorbiti dal settore secondario, di cui ben 2270 in quello manifatturiero.
Sembrerebbero numeri positivi ma se pensiamo, secondo i dati della Camera del commercio di Trento, che gli occupati complessivi della Provincia di Trento nel 2010 sono valutati intorno ai 230.000 (gli abitanti sono 534.000), le 134.085 assunzioni e i 130.000 licenziamenti, mostrano anche in Trentino una percentuale molto alta di precari, valutabile intorno al 60%. Nel recente rapporto dell’Agenzia del lavoro si sottolinea infatti come le 134.000 nuove assunzioni sono state trainate dai contratti a termine, in particolare dal contratto di somministrazione e da quello intermittente, cresciuti rispettivamente del 17% e del 34%, mentre il tempo determinato è cresciuto solo del 0.4%. E’ indubbio che l’economia trentina dove sono presenti settori stagionali come il turismo e l’agricoltura questa percentuale sia strutturalmente molto alta, ma se confrontiamo questi dati con le percentuali dei contratti a tempo indeterminato per settore, agricolo primario, manifatturiero secondario, e servizi pubblici-terziario, si evidenziano situazioni di allarme.
La percentuale di lavoratori nel terziario, come servizi e dipendenti pubblici, è infatti giunta alla cifra record del 69%. Nel 1951, nella decade del boom economico la quota dei lavoratori trentini nel terziario era del 27%. Un crescita in sessant’anni del 155%!!! Praticamente solo un trentino su tre lavora in settori produttivi. Vogliamo essere produttivi come i tedeschi, ma assomigliamo terribilmente ad una provincia dell’impero romano. Al miglioramento dell’occupazione si deve però accostare l’aumento delle ore di cassa integrazione e l’aumento degli iscritti alle liste di mobilità. Complessivamente se il quadro dell’occupazione trentina migliora, cominciano a evidenziarsi problemi nel numero dei lavoratori precari e nello sbilancio dei dipendenti del settore terziario dove confluiscono i servizi e il pubblico impiego. In occasione delle grandi manifestazioni sul lavoro precario di sabato 9 aprile è quindi ora necessario richiamare l’attenzione sul mondo del lavoro, per valutare come l’eventuale progressiva uscita dalla crisi chiamerà la provincia di Trento ad una consistente trasformazione della sua economia. E’ indubbio che dal punto di vista analitico manchino ancora gli strumenti di studio che permettano di confrontare la nostra provinciale a quella di altre regioni europee. Per avere una mappa completa del mondo del lavoro si dovrebbero catalogare gli occupati non solo secondo le tre grandi aree del primario, secondario e terziario, ma utilizzare anche le diciotto gradi settorializzazioni europee. A questo va aggiunto come invita il prof. Ichino a non aver timore nell’abolire l’articolo 18, e nello stesso momento ad eliminare per sempre tutti i contratti precari. Sarebbe una uscita dal tunnel demagogico di questi ultimi anni e nello stesso tempo, dal tunnel della crisi del lavoro vero, rispetto a quello del semplice “posto di occupato”. Tra i due vi passano tutte le attuali difficoltà dell’economia europea, nazionale e trentina.
|