
M’immagino, di questi tempi, un gran rimescolamento in numerose tombe. In tutte quelle che accolgono patrioti, soldati, statisti e quanti a vario titolo hanno vissuto quel periodo storico che (almeno quelli della mia generazione) conosciamo come Risorgimento e sono morti, direttamente o indirettamente, per “fare” l’Italia; tutto un chiedersi “ma ne valeva la pena?”
Moti insurrezionali, tre guerre d’indipendenza e la prima mondiale; intere generazioni di giovani cancellate combattendo in conflitti dei quali i più non sapevano il perché; faccia ognuno le considerazioni che crede. Ma qui io vorrei solo limitarmi a tracciare (il numero delle battute è tiranno) un po’ di storia della bandiera italiana che ha accompagnato alcune tappe dell’unificazione d’Italia. E dunque. A chi ha frequentato le elementari intorno al 1960 veniva spiegato che la bandiera rappresentava la nostra Patria nei suoi colori: il verde era quello dei boschi d’Italia, il bianco quello della neve delle Alpi che la cingono, il rosso quello del sangue dei patrioti che avevano combattuto contro lo straniero. Bello per la fantasia e pure poetico. Gli storici dicono invece che il nostro tricolore è l’erede del vessillo che Napoleone Bonaparte consegnò alle truppe della Legione lombarda ancora nel 1796, vessillo in cui il rosso e il bianco riprendevano l’antico stemma di Milano mentre il verde richiamava il colore della Guardia nazionale discesa dall’antica Milizia urbana milanese. Quei colori stavano diventando però, già allora, il simbolo dei valori rivoluzionari e della riscossa italiana contro la dominazione straniera. Il tricolore fece la sua prima comparsa il 7 gennaio 1797 quando venne adottato dal parlamento della Repubblica Cispadana a Reggio Emilia con la riunione dei rappresentanti di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio ricordate nelle quattro frecce che compaiono nello stemma, al centro della fascia bianca. L’anno successivo la Repubblica Cispadana venne annessa alla Repubblica Cisalpina: il nuovo stato che nasceva nell’Italia settentrionale aveva capitale a Milano e, in seguito all’adozione di apposito decreto, la Repubblica assumeva il tricolore a bande verticali. Nel 1802 la Repubblica Cisalpina mutò nome in Repubblica Italiana (per inciso, con presidente Napoleone); il nuovo stato mantenne nella bandiera i tre colori ma ne mutò la disposizione. Nel 1805, la repubblica fu trasformata in Regno Italico e Napoleone assunse il titolo di re d’Italia, anche se fu il figlio adottivo, il viceré Eugenio Beauharnais, a governare. A questo punto nuovo parziale rinnovamento per la bandiera. Dopo la caduta di Napoleone l’assetto politico dell’Italia fu ridisegnato al congresso di Vienna e il tricolore non fu mantenuto in alcuno degli stati in cui l’Italia fu di nuovo suddivisa. Esso rimase tuttavia il simbolo di coloro che battendosi per l’unificazione della penisola ne chiedevano l’indipendenza assieme all’integrità territoriale: insomma il simbolo dell’Italia che si doveva finalmente fare e allo scoppio della prima guerra d’indipendenza questo imperativo era talmente sentito che Carlo Alberto, re di Sardegna, dichiarando guerra all’Austria e scendendo in campo coi milanesi e i veneziani insorti adottò il tricolore verde rosso e bianco unendo lo scudo sabaudo. La bandiera venne mantenuta anche dal Regno d’Italia, proclamato il 17 marzo 1861. La costituzione, poi, sancisce che il tricolore italiano è a tre bande verticali di eguali dimensioni nei colori verde, bianco e rosso. Miriam Sottovia
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