Home Cultura La “nave” fa ritorno… a Tione

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da roberto bertolini   
Domenica 27 Febbraio 2011 09:35

Uno spettacolo drammatico e in alcuni passaggi crudo. Che ha reso al meglio quello che è stato il dramma delle foibe, l’orrore degli eccidi perpetrati nel periodo finale e successivo della seconda guerra mondiale per motivi etnico/politici ai danni della popolazione italiana per lo più compiuti dall’ Esercito popolare di liberazione iugoslavo. Un periodo di storia ancora buio e di cui si parla poco, raccontato con grande forza narrativa dai tre ragazzi protagonisti di “La Nave del Ritorno”, lo spettacolo andato in scena al teatro di Tione il 10 febbraio per il pubblico e l’11 per gli studenti delle scuole medie e dell’Istituto Don Guetti.
Promosso dall’amministrazione comunale di Tione, lo spettacolo messo in scena dal Teatro dell’Aleph con la regia di Giovanni Moleri, con Lesley Leichtweis Bernardi, Salvatore Auricchio e Diego Gotti tiene incollati alle sedie fino alla fine attraverso passaggi di grande pathos, talvolta raggelanti, che raccontano il dramma degli istriani attraverso la storia personale di tre ragazzi feriti nei loro sogni e nella loro vita dagli orrori dei massacri che colpiscono amici, parenti, fidanzati. Costruito su testimonianze e documenti storici – da ascoltare le canzoni originali strazianti dell’epoca suonate con una fisarmonica - narra in particolare la tragedia di Norma Cossetto, divenuta uno dei simboli di quel periodo.
Le foibe sono voragini rocciose dell’Istria, a forma di imbuto rovesciato, create dall’erosione dell’acqua e che possono raggiungere i 200 metri di profondità. È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 sono gettati, vivi e morti, quasi quindicimila italiani.  La prima ondata di violenza delle truppe del maresciallo Tito esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria e si scaglia su fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini.
Tutti trucidati senza nemmeno l’ombra di un processo-farsa. Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba; qui gli aguzzini legavano loro i polsi e le caviglie con filo di ferro e, successivamente, legavano gli uni agli altri sempre con lo stesso filo. I massacratori si divertivano, nella maggior parte dei casi, a sparare al primo malcapitato del gruppo che ruzzolava rovinosamente nella foiba trascinando dietro di sé gli altri. Li aspettava una morte orribile, sbalzati da una roccia all’altra, o straziati dalla fame e dalla sete. A volte per completare l’opera venivano gettate sul fondo della foiba delle taniche di benzina, poi incendiate.
La vicenda di Norma Cossetto è diventata l’emblema di questa violenza. Nemmeno 24 anni, laureanda in Lettere e Filosofia presso l’Università di Padova, nel settembre 1943,  girava in bicicletta per i comuni e le canoniche dell’Istria in cerca del materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo «L’Istria Rossa». Il padre, Giuseppe, era segretario politico fascista e podestà di Visinada, commissario governativo delle Casse Rurali dell’Istria. Il 25 settembre 1943, dopo l’armistizio un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa e prelevando Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, poi nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da 17 aguzzini, quindi gettata nella foiba poco distante, su una catasta di altri cadaveri di Istriani. Nel febbraio del 1947 l’Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l’Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano allora in esuli, scappano dal terrore, non hanno nulla, e non trovano in Italia una grande accoglienza. Ignorati dalla sinistra italiana (non suscitava solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS) non vengono accolti molto bene neanche dalla Dc  visto che - come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci - la stessa classe dirigente democristiana tendeva a considerare i profughi dalmati “cittadini di serie B”. Per quasi 40 anni un silenzio quasi totale. Una pagina per decenni celata perché ritenuta politically uncorrect, e che ha trovato il primo tentativo di sdoganamento da parte della politica solo nel 1991 con Francesco Cossiga, allora presidente della repubblica che si recò il 3 novembre alla foiba di Basovizza. Per questo “La nave del ritorno” rappresenta un’iniziativa importante, soprattutto perché rivolta al mondo della scuola dove si parla ancora poco di questi avvenimenti, e addirittura ci sono ancora libri di testo dove non si fa accenno a questo dramma che invece rappresenta una pagina importante di storia italiana.  (fonti: www.storico.org, www.lastoriasiamonoi.rai.it )        
(r.b.)