
Economia e politica. Centro economico e centro politico. I moderati in politica non devono scordarsi delle forze economiche del paese L’UDC di Casini rivendica il centro, così l’UPT di Dellai e il PATT di Panizza. Ma rivendicano il centro anche il PDL di Berlusconi, l’IDV di Di Pietro, la LEGA di Bossi mentre il PD di Bersani si avvicina e si allontana dal centro seconda del segretario. Ormai tutti i partiti italiani sono moderati tanto che la gara verso il centro vede addirittura in testa un encomiabile Fini, di cui ora si possono condividere gran parte delle idee.
Ma cosa si nasconde dietro questa corsa al centro, fatta mantenendo paradossalmente il bipolarismo, negato solo dall’UDC? E’ dall’autunno del 1993 che nessuno si vuol rassegnare ad ammettere di aver sbagliato e che era meglio andare al mare come diceva Craxi con il referendum per il maggioritario? Tutti i discorsi, tutte le prese di posizione, gli inviti alla moderazione, alla pace e alla concordia puntualmente disattesi da oltre quindici radicano in questo errore commesso allora, quando DS e LEGA, assetati di volontà di governare in modo autoritario, scelsero di perdere un anno politico fondamentale, eravamo in piena emergenza valutaria con il governo del presidente Ciampi che doveva privatizzare per pagare i debiti, per cancellare il modello democratico proporzionale frutto della guerra di liberazione e passare al modello bipolare anglosassone. Mai errore fu più fatale e dimenticato, perché l’eterna sconfitta a cui è ormai condannata la sinistra è paradossalmente frutto proprio di quella decisione “autoritaria”. Dal 1994 infatti governa praticamente Berlusconi anche quando è all’opposizione grazie alle sue televisioni. Quindi tutti i partiti parlano di centro, ma poi imbarcano idee “forti” di risanamento e riformismo, per prendere i voti per governare il timone dell’economia italiana, e che poi invece puntualmente si dimenticano e lasciano alla fonda nel porto.
Il centro politico una volta al governo infatti si dimentica completamente del vero centro che è quello economico, quello del conto economico, dei profitti e delle perdite, delle entrate e delle uscite, della programmazione e del risparmio, della produzione e del mercato, e interpretano tutto come rendita di posizione, immobiliare, fiscale e finanziaria, aggravando lo stato del debito pubblico, delle imprese private, del costo dei servizi come energia, trasporti e comunicazioni. Risultato: un centro politico che non sa dove si trova il centro economico che non rappresenta più, con una situazione economica che rasenta continuamente la recessione, perché una crescita all’1 per cento di fatto è una crescita recessiva. Il centro economico è rappresentato da chi combatte tutti i giorni contro questo “mostro” burocratico Leviatano, che scoraggia i sognatori, quelli di solito rischiano e trainano con la loro iniziativa, anche fallendo, la società umana. Quelli che occupano i “posti fissi” gestiti dalla politica, sbucano dalle loro nicchie come ragni, giudicano negativamente la classe imprenditoriale che in modo quasi irrazionale, li mantiene. In Italia infatti paradossalmente l’imprenditore privato, l’artigiano, il commerciante, se falliscono sono moralmente “colpevoli” ma se guadagnano sono ancora più “colpevoli”, perché sono ricchi. Quando quindi il centro politico e la sua classe di “posti fissi” è così distante dal vero “centro economico”, che andrebbe tutelato e salvaguardato, a quale destino è avviata la società italiana se non quella del progressivo impoverimento? Queste sono le domande che si deve porre non la classe politica, che pensa ad altro, ma la società italiana che la elegge, stremata da tanta assenza di visione, che non sia la pura brama individuale di primeggiare. Il Trentino come terra d’incontro tra nord tedesco e sud latino, ovest lombardo e oriente veneto è sempre stato un laboratorio fin dal medioevo, penso ai Clesio, ai Madruzzo, ma anche ai Lodron, e poi ai Firmian, ai Rosmini, fino a Degasperi e forse oggi con Lorenzo Dellai. La nostra autonomia era, e rimane, frutto di questo laboratorio di pensiero. Lasciamo lavorare pertanto chi allora riesce ancora a pensare e riconosciamone il ruolo. Indicheranno la nuova via anche al resto delle regioni italiane che sono invece ormai immerse in una palude che le frena, senza fare un passo. |