Home Editoriale L’accoglienza e il cinismo

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da Tiziano Salvaterra   
Domenica 13 Settembre 2009 13:21

Noi non possiamo tacere. Quando una comunità, una nazione lascia volutamente morire decine, centinaia di persone in mare, quando si giustificano questi fatti con argomentazione politiche, strategiche, internazionali,  quando si fanno tante chiacchiere per cerare di far passare per buono, positivo , necessario questo comportamento e sulla stampa ed alla TV si conducono analisi intellettuali per tacitare la  coscienza, allora hai l’impressione o forse la convinzione che  ci sia una crepa nella tua  civiltà.

Che colpa hanno quei poveri disgraziati la cui disperazione li porta a  salire su una catapecchia per cercare rifugio, speranza, un sogno che non si realizzerà mai, che colpa hanno  delle azioni dei loro governi, cosa sanno dei trattati internazionali, dei loro diritti e dei loro doveri. Fuggono e basta da una situazione per loro insostenibile come è accaduto sempre nel corso dell’umanità. 
E’ un film che i nostri emigranti hanno già visto un secolo fa quando partendo dalle nostre vallate  prive di prospettiva e di lavoro cercavano in America del Nord e del Sud  una spiaggia amica, un sogno da realizzare e trovarono in molti, il fondo del mare, ponti sotto i quali dormire, atteggiamenti ostili, miseria. In un secolo non è cambiato nulla; si sono solo invertite le parti. Ma la nostra memoria è corta e poco ci importa di aver firmato  la carta dei diritti umani. Ci vuole rigore,  disciplina. Parole già sentite.
Certo la legge va rispettata, ma la vita viene prima; intanto ti salvo, ti do un pezzo di pane,  ti curo poi vediamo se posso darti ospitalità, se ci sono le condizioni. Non esiste ragion di stato che  possa  sacrificare una vita. Esiste semmai il cinismo di stato.
Perché poi quando i clandestini ci servono per aiutare gli anziani, gli ammalati, accudire alle case dei signori, coprire posti di lavoro che i residenti non sono più disponibili a occupare,  allora si può fare “ il condono” la sanatoria. In questo caso ci fanno comodo anche i clandestini, sì, quelli che se avessimo potuto avremmo lasciato in mare a marcire. Centinaia di migliaia di badanti da clandestine a regolari con lo Stato che porta a casa  un miliardo di euro. E cosi balliamo fra sanatorie e carneficine con una disinvoltura in cui  le parole coprono le situazioni tanto domani è un altro giorno.
Vi sono poi categorie che non sono mai clandestine anzi: un calciatore, un uomo di sport connazionale di quelli sulle carrette del mare, lo accogliamo in pompa magna, lo copriamo di gloria, denaro, lusso, lui  può, quello sul barcone no; se è un’attrice, una modella,  sicuramente bella  la mettiamo sui giornali  ci fidanziamo con lei, se è un ricco possidente intrecciamo affari se è un povero cristo lo gettiamo in mare. Certo noi da quassù non possiamo fare molto se non indignarci; è poco, ma serve almeno a non confondersi  nel pantano del razzismo moderno. E mi viene in mente il titolo di  una bella canzone di Gaber “ Io non mi sento italiano”.