Al Festival dell’Economia di Trento Imputato è il mercato Nell’atteso evento trentino si parlerà di crisi economica e delle “colpe” del liberismo Negli ultimi giorni si è visto sulle prime colonne dei principali quotidiani italiani una serie di prese di posizione da parte di economisti come Francesco Gavazzi, politologi come Giovanni Sartori, imprenditori come Emma Marcegaglia e giornalisti come Angelo Panebianco, intorno al ruolo attribuito al mercato in questa prima grande crisi globale.
Centro del dibattito sono le prese di posizione del ministro del Tesoro Giulio Tremonti che sembra orientato ad un’ampia revisione del modello economico liberista, con proposte che vanno dalla necessità di una nuova Bretton – Woods, di regole agli Hedge Fund, di prefetti al controllo del credito, del ruolo della Banca d’Italia, di aumentare i finanziamenti alle imprese e alle famiglie, fino ai temi delle tasse sui redditi alti, del taglio dell’ICI, per sfociare nell’anarchia senza regole del mercato. Su questo punto, tutti sembrano convergere; l’imputato numero uno è il mercato senza regole. Ma una volta identificato il centro del problema, poi si torna a dividersi sulle soluzioni che non possono essere quelle di negarlo scientificamente il mercato, come voleva il socialismo scientifico a fine Ottocento o il nazionalismo negli anni Trenta del Novecento, ma nemmeno lasciarlo libero di agire senza regole, identificando in lui una sorta di super-legislatore della società umana. Entrambe le posizioni rivelano un carattere ingenuo perché affiderebbero il destino dell’economia ad un’entità che nessuno ha poi mai definito. Chi di noi affiderebbe il proprio piano esistenziale, i progetti della propria vita al mercato? Il mercato è in grado di “pensare” e progettare il nostro mondo? Credo proprio di no e se siamo fermi ancora a questo punto ho l’impressione che siamo su una pessima strada. Insistere nell’affidare interi segmenti dei servizi essenziali al mercato, come abbiamo fatto dal crollo del muro di Berlino nel 1989 in poi, vuol dire affidarsi ad un concetto astratto, a cui è difficile attribuire qualsiasi carattere positivo di progetto sociale. Personalmente immagino il mercato come un “luogo”, una “piazza”, divenuta oggi una piattaforma telematica “virtuale”, dove ad un certo orario qualcuno si trova per scambiare dei beni e monete. Il mercato è un luogo e dove una volta assenti gli attori degli scambi non rimane nulla. Il mercato è quindi uno spazio vuoto, che tutto fa scomparire. Alimentare con incentivi gli scambi, non fa che forzarli in modo innaturale, ma senza alcuna qualità, senza incidere sulla crescita effettiva di quanti si sono scambiati quei beni. La soluzione pertanto dovrà partire dalla necessità prima di tutto di “regolamentare” i mercati, di distinguerli per la natura dei beni che vi vengono scambiati, i “prodotti” sono ad esempio diversi dai “beni” di pubblica utilità, come energia o acqua. Solo quando avremo inquadrato e regolamentato il ruolo del mercato riusciremo a trovare le soluzioni alla crisi attuale. Ma sicuramente non è più possibile rispondere ai nuovi problemi con le soluzioni adottate negli anni Settanta. Oggi è necessario distinguere con grande chiarezza i settori ciclici e produttivi, dai settori anticiclici delle infrastrutture senza cadere nell’eterno passaggio “pendolare” tra il modello colbertista, e quello liberista, ma capire che esiste un ruolo inequivocabile anche per il mercato, la cui vitalità, una volta regolamentata si traduce rapidamente nel benessere di tutti se si toccano le leve giuste. |