Home Società Giudicarie, terra di vescovi: don Ivan Maffeis a Perugia

Traduzioni e Comunicazione

Giudicarie, terra di vescovi: don Ivan Maffeis a Perugia
Scritto da admin2   
Domenica 18 Settembre 2022 14:36

- Denise Rocca

 

Dopo Lauro Tisi, di Giustino, arcivescovo di Trento, dall'11 settembre don Ivan Maffeis, originario della Val Rendena, sarà il nuovo arcivescovo di Perugia.

Nato a Tione il 18 novembre 1963 don Ivan Maffeis ha ricoperto diversi incarichi all'interno della chiesa: lasciò Trento nel 2009 per diventare Vicedirettore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Cei che passò poi a dirigere nel maggio 2015 (fino a settembre 2019) anche con il ruolo di Portavoce dei vescovi. A ottobre dello stesso anno venne nominato Sottosegretario della Cei, stretto collaboratore dei cardinali presidenti Angelo Bagnasco e Gualtiero Bassetti e dei Segretari Generali: prima il vescovo Nunzio Galantino e poi Stefano Russo. Dal 2017 don Ivan è anche consultore del Dicastero per la Comunicazione. Prima di approdare a Roma, don Ivan, prete-giornalista, aveva diretto per dieci anni il settimanale Vita Trentina, Radio Trentino inBlu e l’Ufficio Comunicazioni sociali della Diocesi trentina. Per sei anni è stato anche Segretario nazionale della Fisc, la Federazione dei settimanali diocesani. Alla cattedra episcopale perugina, succede al cardinale e arcivescovo Gualtiero Bassetti, ex presidente della Cei.

 

Si aspettava questa nomina e di lasciare Rovereto così presto dopo il suo rientro da Roma?

Quando Bassetti mi ha chiesto perché vuoi tornare in parrocchia: io ho detto vengo da una famiglia semplice di un paese di montagna che mi ha dato la possibilità di studiare; la mia chiesa mi ha dato tante opportunità e mentre parlavo disegnavo una casa con dei piani che salivano: da Vita Trentina alle tante esperienze belle che ho vissuto. Disegnavo un piano sopra l'atro e poi gli ho detto che sentivo l'esigenza di scendere in cantina. Ecco voglio andare in cantina per vedere se la mia vita ha delle fondamenta: non mi interessa un piano in più, voglio capire se la mia vita ha fondamento, ha senso,fare un cammino di condivisione della vita cristiana con la gente, restituire tutto quello che ho ricevuto. Sentivo un bisogno enorme di andare all'essenzialità di quel vita cristiana che il vangelo ti consegna e rimane per me la ricetta per una vita buona. Sono tornato a Rovereto con grande voglia di stare con la gente, vado a Perugia con molta umiltà.

 

Quello di arcivescovo è un ruolo molo diverso da quello di parroco, cosa le mancherà e quali porte nuove, invece, le apre nel professare la fede questo suo nuovo ruolo?

Il parroco è la figura più vicina alla gente, che ne condivide le gioie – le nascite, i matrimoni - ma anche la sofferenza dei malati, il lutto. La figura del parroco mi ha sempre affascinato per lo spirito di condivisione: parli la lingue della gente pur con tutti i limiti di un prete. Laddove un prete si espone per la sua comunità, la comunità lo ricambia cento volte. Penso a quanto la gente ci perdona, è paziente con noi. Il prete dà un contributo importante, ma è la comunità che tiene in piedi il prete, in questa reciprocità io vedo la figura del parroco. Quello che mi mancherà di più credo che sarà questo orizzonte di condivisione.

In positivo, credo che in questa nuova responsabilità che per me è davvero tutta da scoprire, penso di trovare il rapporto con i preti: la figura di vescovo è anzitutto rivolta a loro e io mi auguro di riuscire a costruire con i sacerdoti della diocesi un rapporto di fraternità e di spendermi per questo proprio perché sono loro che hanno il rapporto diretto e continuativo con le persone e la comunità che io credo profondamente non vive di eventi singoli – quand'anche fosse la visita del proprio vescovo - ma vive del quotidiano di cui ill proprio parroco è il principale attore. Se riuscissi anche solo a costruire un rapporto di comunione, stima e motivazione con i preti credo che avrei fatto una buona cosa.

 

Ai fedeli, che in questi ultimi anni hanno vissuto una pandemia e una guerra sulle porte di casa, la Chiesa che risposte può dare?

Io credo che siamo chiamati a dare un contributo più che una risposta. Un contributo di speranza: questi due anni ci hanno fatto toccare con mano un dolore enorme e prima sconosciuto: penso a chi ha perso i propri cari senza poter stare loro accanto, c'è un dolore enorme che si aggiunge alla perdita. E questo dolore è ancora presente e fa molta fatica ad essere espresso, le persone non sanno a chi consegnarlo in qualche modo. Credo che la Chiesa può dare speranza in una situazione che ci ha spogliato di sicurezze e messo davanti a qualcosa di inedito. Penso alla fatica che tante realtà sociali stanno facendo a ripartire: ma la strada è questa, cerchiamo di uscire insieme da questa tempesta, il Papa ha detto più volte che “siamo nella tessa barca”, significa che ognuno può dare il proprio contributo e la Chiesa ha il suo contributo nel credere davvero che l'incontro con l'altro è la realtà più preziosa. Credo che lavorare per ritessere le relazioni sia a beneficio di tutti, di credenti e non credenti.

 

Molti sembrano oggi i cristiani che vivono la propria fede fuori dai riti, il primo la Messa domenicale che è sempre meno frequentata: è una esperienza di fede diversa, magari legata anche a tempi famigliari e lavorativi che sono molto cambiati rispetto al passato o un'espressione di stanchezza e superficialità?

Credo che nella nostra gente ci sia un profonda domanda di spiritualità e interiorità, una domanda che può essere nutrita di valori. Le domande sul perché ci alziamo al mattino, perché affrontare una giornata di lavoro o i piccoli problemi della quotidianità sono presenti, c'è una disponibilità delle persone a porsi questi dilemmi. Il ritmo di vita moderno fa a pugni con queste domande e con questa spiritualità, è vero, ma laddove le persone trovano accoglienza e gratuità si fanno avanti. L'Eucaristia resta un momento centrale, un vertice e anche l'origine allo stesso tempo della fede. C'è il rischio che tanti segni della via cristiana, come la Messa, non riescano più a parlare perché abbiamo perso quella lingua comune che, fino a ieri, credenti e non avevano come riferimento. Oggi la conoscenza stessa della Bibbia è superficiale, ma rimango convinto che ci sia spazio per lavorare su alcuni punti che possono agganciare le persone: con l'accoglienza cordiale, la disponibilità ad ascoltare, l'abbattere il più possibile muri e costruire ponti credo che la ricerca della fede possa trovare nuova linfa e con essa la partecipazione all'Eucaristia e alla preghiera. Non è solo una strategia per parlare alle persone, per me è davvero la bellezza di essere cristiani che con semplicità vanno all'essenziale della fede, e cercano di viverla con atteggiamenti concreti. Rimango fiducioso che ci sia una grande possibilità di annuncio del Vangelo se questo passa dal linguaggio quotidiano della gente e da una disponibilità concreta.

Â