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Scritto da Adelino Amistadi |
Domenica 04 Ottobre 2020 09:31 |
Tiriamo il fiato. Le due giornate elettorali del 20-21 settembre sono terminate. Mentre da noi in Trentino abbiamo avuto le elezioni comunali che tutto sommato non hanno portato cambiamenti significativi (vedi le pagine dedicate), a livello nazionale la tenzone è stata molto più tesa e pregna di aspettative che potevano creare instabilità governativa e cambio della guardia, a cominciare dal referendum sul taglio dei parlamentari che, votato in Parlamento dalla quasi totalità dei partiti e dei parlamentari, con il referendum veniva rimesso in discussione, e vedi, vedi dagli stessi onorevoli che l’avevano votato. Che centri la paura di perdere la poltrona? Ovvio che sì! Ma la forte affluenza ed il risultato di gran lunga a favore del sì hanno dimostrato come gli italiani, restii di solito a votare per le scelte politiche, quando c’è da esprimersi contro il Palazzo non hanno dubbi e a votare ci vanno più che volentieri. L’umore dei cittadini è ancora fortemente improntato ad un sentimento anti-Casta ed i politici farebbero bene a non dimenticarlo. Questo il risultato referendario: i Sì al 69,64%, i No al 30,36% : questi i risultati definitivi che hanno confermato la riforma costituzionale ed approvato quindi la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e quella dei senatori da 315 a 200, una sforbiciata del 36%. Molto più complessa la situazione riguardante il turno elettorale riguardante le elezioni regionali. Erano 7 le regioni chiamate al voto: Val d’Aosta, Veneto, Marche, Toscana, Puglia e Campania. E l’esito non era per niente scontato. Anche se Salvini della Lega s’era lasciato andare convinto di vincere 7 a 0, le cose non sono andate così, anzi. Oggi, con gli esiti confermati, non si è ancora capito chi abbia vinto e chi no. Come sempre, ad ogni elezione, hanno vinto tutti, nessuno che ammette d’aver perso. È sempre stato così, non è facile ammettere la sconfitta. Ad occhio, con la mia esperienza, visti i risultati potrei dire che non ci sono stati grandi vincitori, solo qualche buon risultato e qualche débâcle, ma niente trionfalismi. È finita 3 a 3, ma è difficile definirlo un pareggio. La destra s’aspettava ben altro. Ma questo risultato con quello del referendum costituzionale, sembra portare verso acque più tranquille le sorti del governo Conte e dell’alleanza giallorosa che lo sostiene. Almeno sembra. Ed è proprio il premier Conte, insieme al segretario del Pd Zingaretti, uno dei pochi che può brindare per i risultati di questa giornata elettorale. Il Pd infatti ha sì perso nelle Marche, ma ha vinto alla grande in Campania con l’osso duro che più duro non si può De Luca, nelle Puglie con Emiliano, in Toscana con Giani, tutto sommato meglio del previsto. Non può, invece, brindare la destra con Matteo Salvini. Per consolidare la propria leadership nel centro destra aveva infatti immaginato di portare a buon termine l’operazione già tentata e fallita in Emilia Romagna provando a vincere in Toscana, una delle storiche roccaforti rosse. Ma alla fine la candidata della Lega ha fatto la stessa fine della sua collega emiliana, e ha vinto il sessantenne Giani, compagno d’antico lignaggio. Ha vinto alla grande in Veneto, ma non tanto la Lega di Salvini, quanto la lista di Zaia che ha trionfato sconquassando la lista dell’amico Matteo. Corrono voci che Zaia intenda spodestare il Capitano e sono in molti che se lo augurano. Anche perché la débâcle più insidiosa di Salvini avviene nel sud Italia dove non è riuscito a sfondare confermando che la Lega fatica molto ad affermarsi nel meridione, sembra proprio che il sogno salviniano di una lega nazionale debba essere definitivamente riposto ne cassetto. Intanto Giorgia Meloni lavora per cercare di fare le scarpe al Capitano leghista, ma anche per lei la strada è piuttosto ostica. E ben vero che il suo candidato Acquaroli ha conquistato le Marche dopo 25 anni di ininterrotto dominio della sinistra, ma in Puglia il suo candidato, Fitto, ha incassato una sconfitta non da poco da parte di Emiliano. Ma date le circostanze, la sfida a distanza con Giorgia Meloni appare anch’essa una mezza sconfitta di Salvini. Sull’altro fronte invece si canta vittoria: il M5s per il risultato del referendum, il Pd per l’esito politico della consultazione. In realtà, nel complesso, si tratta per entrambi di una vittoria a metà. Quella del sì al referendum è una vittoria dei cinquestelle, ed è una vittoria ottenuta con grinta e con convinzione, contro tutto e tutti, tuttavia il responso delle urne è stato a dir poco disastroso per quanto riguarda il voto politico, tanto da oscurare la stessa vittoria referendaria. Né molto bene sono andate le cose in Liguria dove il M5s s’era alleato con il Pd per battere Toti, ex Forza Italia, e anche lì le cose sono andate male, Toti ha stravinto da solo. Ma anche nelle altre regioni dove correvano da soli hanno avuto risultati irrilevanti, E nel partito (stellato) sembra si avvicini una poco salutare resa dei conti. In casa Pd, invece, da come si erano messe le cose, Nicola Zingaretti può legittimamente dichiararsi soddisfatto. E’ vero che perde le Marche, ma era previsto. E per come s’era messa, il segretario Pd può davvero festeggiare. Anche perché dove il Pd ha vinto, ha vinto da solo. Ha vinto contro il centrodestra, ma anche contro i 5Stelle perché quasi ovunque i pentastellati avevano presentato propri candidati. E ciò aggiunge peso politico al risultato dei democratici. Totalmente sconfitti ne escono gli ex grandi della politica italiana: Forza Italia ormai senza bussola e senza eredi designati che sta tirando le cuoia, a parte qualche sussulto, un po’ dovunque e l’Italia Viva di Matteo Renzi totalmente insignificante, più che un’Italia viva, un’Italia morta. Così come le ambizioni del nuovo che avanza l’europarlamentare Calenda sono appassite, quasi del tutto irrecuperabili. Da questo breve e schematico riassunto della tornata elettorale della settimana scorsa ne esce evidente la voglia di stabilità che scaturisce dalle urne. Non è in vista nessuna spallata al governo sempre sul pezzo nella lotta all’epidemia ancora in corso, ma dopo il referendum sarà più che mai impegnato a portare a compimento la riforma costituzionale. Bisognerà imbastire una nuova legge elettorale come pure rimettere a posto l’intelaiatura istituzionale: tutte cose complesse e molto delicate che richiedono compattezza politica e chiarezza di idee. Senza dimenticare la più importante di tutte le questioni: la gestione del Recovery Fund. Nei prossimi mesi il Governo avrà occasioni importanti per dimostrare la propria solidità e la propria capacità di rimettere il Paese sui binari della ripresa e del ritorno ad una vita normale e serena. Speriamo in bene. |