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Traduzioni e Comunicazione

Scritto da Tiziano Salvaterra   
Martedì 28 Aprile 2009 16:31

Quando un giovane mi chiede di dargli delle ragioni per rimanere in Giudicarie mi sento fra due fuochi: da un lato l’entusiasmo nel decantare le bellezze delle nostre valli, del vivere in mezzo alla natura, della solidarietà che anima le comunità, dall’altra il rammarico di non avere risposte convincenti verso domande che leggo nei suoi occhi legate alla professione, alle possibilità di lavoro, alle opportunità di crescita  personale, di confronto, di scambio. E mentre imperterrito  continuo ad argomentare le ragioni per rimanere, lui mi  elenca le sue motivazioni per andar via: poca innovazione, alta litigiosità, campanilismo sfrenato, troppa gente contro, scarsa capacità propositiva, la percezione che la periferia sarà sempre  penalizzata, la lentezza nelle decisioni  (anni di diatribe per costruire un’opera o un’infrastruttura…..) l’idea di una comunità stanca, appagata, seduta.
Le Giudicarie forse sono tutte queste cose messe insieme; certo un giovane cerca futuro, chiede dinamicità, aspetta proposte mentre dall’altra il mondo degli adulti è troppo spesso chiuso nella difesa di quello che ha, nella gestione di ciò che è riuscito a costruire, del piccolo o grande potere che riesce a gestire. 

Ma il futuro appartiene alle nuove generazioni e noi adulti non possiamo non metterci dalla loro parte cercando di gettare le basi per un futuro possibile.
Pensare il futuro in quest’ottica significa porsi in maniera propositiva con la testa che guarda in avanti, ma non perde la strada tracciata da tante persone che si sono impegnate per arrivare fino qui. Centinaia e centinaia di  cooperatori, coloro che per primi hanno creduto  nello sviluppo turistico  o nelle Terme di Comano, nel Parco Adamello Brenta, in una scuola diffusa e presente anche a livelli superiori, nell’ospedale,  nelle fabbriche e negli alberghi che danno lavoro, sono tutte persone che hanno sognato un futuro per se, per gli altri e per le generazioni future. Ed oggi noi  godiamo i frutti di quelle intuizioni, di quelle passioni  talvolta  criticate ma che hanno saputo riscattare  le nostre borgate da estrema periferia, povera terra di emigrazione in valli prosperose nel cuore dell’Europa.
Noi oggi siamo chiamati a fare altrettanto: sognare un futuro  per le Giudicarie. Non possiamo né vogliamo rassegnarci ad un modo debole e passivo di intendere  la vita delle comunità. Chi ha idee le tiri fuori,  chi le vuole criticare lo faccia  ma con una proposta alternativa e la disponibilità a portarla avanti, perché solo così si  riesce ad essere credibili agli occhi di coloro che devono decidere se  giocarsi la vita fra le montagne natie o se lasciarsi tentare dalle mille proposte che le aree urbane o  i nuovi scenari europei  quotidianamente propongono.
In un momento di crisi, specie nel settore dell’industria che per quasi mezzo secolo ha offerto occasioni di lavoro ad uomini e donne, coloro che  occupano  ruoli di responsabilità sul piano istituzionale, economico, sociale, formativo, si devono sentire impegnati a creare occasioni di incontro e di collaborazione  per individuare novi modelli di sviluppo locale capaci di garantire anche in futuro posti di lavoro adeguati alla formazione dei giovani e qualità di vita complessivamente migliori rispetto alle aree urbane proprio come hanno fatto tanti uomini e donne coraggiosi nel corso del tempo.