Home Editoriale Il “bello” deve ancora venire

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da Administrator   
Martedì 09 Agosto 2016 09:40

Ne ho viste di cotte e di crude nella vita. Ho girato il mondo dall’America del Nord alla Nuova Zelanda, dal Venezuela all’Australia. Ho conosciuto e convissuto con etnie, le più eterogenee. Sono stato testimone di avvenimenti che allora mi sembravano secolari. Ho parteggiato con cautela per il ‘68 studentesco che cambiò in poco tempo la società, ho avversato, per quel che potevo, le Brigate Rosse, ho assistito all’assassinio dell’On. Moro che avevo conosciuto in più occasioni e che mi aveva preso in simpatia, ho sofferto la scomparsa dei partiti storici che avevano ricostruito l’Italia nel dopo guerra, ho sempre evitato le sirene salvifiche del Pci evitando di riconoscermi nei vari Longo, Occhetto, D’Alema, Bersani, Pinter e compagnia bella. Ho goduto e contemplato con gioia in Tv l’abbattimento del Muro di Berlino, la caduta del comunismo che sembrava essere nel mondo la panacea di tutti i mali. Tutte cose che solo qualche mese prima sembravano inimmaginabili.

Ero convinto, allora, che ormai l’umanità intera si stesse avviando verso un futuro di serenità, di benessere e di pace. Riuscii ad assorbire senza venir meno alle mie convinzioni persino l’11 settembre, quel macabro giorno, che sconvolse New York con le sue torri devastate. Così come mi sembravano normali le continue guerre fratricide in giro per il mondo, guerre d’assestamento, pensavo.

La stessa crisi economica che ci attanaglia tutt’ora e non sembra avere vie d’uscita, la consideravo un fatto prettamente economico finanziario dovuto alla globalizzazione e a poco altro, facilmente col tempo superabile. Ma poi, in quest’ultimo anno, nonostante la resistenza del mio inconscio che non voleva mollare, mi sono reso conto che stavo assistendo esterrefatto allo sfascio di tutte le mie convinzioni, delle mie illusioni e delle mie speranze. Le speranze sono ormai prive di senso, le illusioni le ho messe nel cassetto, le convinzioni poi, le ho gettate nel cestino della carta straccia. Siamo in guerra, ne sono convinto. Una guerra terribile, subdola, che non rispetta le regole, dove non ci sono fronti, dove non ci sono coloro che stanno da una parte e coloro che stanno dall’altra, una guerra senza dichiarazioni, senza eserciti schierati, senza generali, una guerra cruenta che manda al macello ragazzini imbottiti di bombe, sgozza, taglia teste, brucia, impicca, e spara alla disperata, che coinvolge il mondo intero. Una guerra che si è insediata in vaste regioni del pianeta e che sta cingendo d’assedio, a sud come ad ovest, gli stati europei che da settant’anni godevano di pace e di prosperità. Una guerra che non si può fermare, che è già passata su alcune capitali e città europee, come un tornado, scagliando fulmini e saette e causando morti innocenti e devastazioni. Eppure, nonostante tutto questo, il mese di luglio appena trascorso è stato uno dei mesi più bislacchi che io abbia conosciuto finora, augurandomi di non vederne altri.

In un paio di settimane si sono verificati alcuni avvenimenti sconvolgenti, che pur sembrando tra di loro diversi, hanno contribuito definitivamente ad un unico risultato: il collasso psico-politico dell’Europa, lo smarrimento della società, l’affermarsi dell’arroganza di chi vuole cambiare il mondo, il ritorno impetuoso del caos universale. Caos che pagheremo a caro prezzo.

La sera del 14 luglio, a Nizza, un “combattente” di Daesh (Isis) ha scagliato un grosso camion contro la folla che stava festeggiando la Presa della Bastiglia (festa nazionale francese), lasciando sull’asfalto 84 morti e 200 feriti. E’ stata questa la conferma, se ce n’era bisogno, che la guerra ormai è fuori dalla nostra porta di casa, che la nostra vita non sarà più come prima, saremo assaliti dal terrore ad ogni movimento sospetto, in qualsiasi parte d’Europa. L’inquietudine ci accompagnerà ad ogni passo, l’ansia tarperà ogni nostra attività, né c’è speranza che la cosa finisca, ci vorrà del tempo per tornare alla normalità, e purtroppo ho l’impressione che il peggio debba ancora venire.

La notte dopo s’è consumata la tragedia del tentato colpo di stato in Turchia a cui è seguito un contro golpe ben più violento ed organizzato, il presidente Erdogan, che sembrava esser fuggito in un primo momento, è tornato più forte che mai, ha ripreso in mano il paese e sta portando avanti una vendetta brutale ed aggressiva con l’unico obiettivo di trasformare la Repubblica Turca in un suo personale “califfato”.  Sono spaventose le misure adottate da Erdogan, ma mirano tutte allo stesso scopo, a consolidare il suo potere. Sono stati arrestati giudici, giornalisti, sono stati licenziati 36.000 insegnanti, imprigionati migliaia di dipendenti statali e spediti in speciali campi di concentramento i militari che avevano partecipato al golpe con tutte le loro famiglie. E il “bello” deve ancora venire, perché Erdogan è in procinto di reintrodurre la pena di morte, allora saranno migliaia e migliaia le teste che cadranno ai piedi del nuovo califfo. Il sogno di Ataturk, fondatore di uno stato turco laico e moderno, è stato seppellito. In Turchia si sta per realizzare il più grande successo dell’Islam più radicale e fanatico. Una grande vittoria dell’ISIS che ne uscirà rafforzato e sempre più arrogante.

La terza notizia che è che proprio nell’ultima settimana di luglio è stato incoronato candidato del Partito Repubblicano alla corsa per la Casa Bianca Donald Trump. Ma che c’entra Trump con l’ISIS e la Turchia? Ho l’impressione che l’avvento di Trump alla Casa Bianca sia pericoloso tanto quanto Erdogan in Turchia e l’ISIS nel resto del mondo. Non lo dico io, non sono così presuntuoso, ma lo scrive “L’Economist”, uno dei giornali più autorevoli del pianeta. Sia Trump che l’ISIS (Erdogan) hanno gli stessi principi, condividono lo stesso obbiettivo: il caos globale, per poter distruggere tutto quanto di buono s’è fatto per il passato, per riproporre un nuovo ordine, fatto di egoismo, di nuovi muri, di nuove regole, di rigurgiti razzisti e religiosi, in barba alla nostra civiltà, alla nostra storia, alla nostra cultura che da secoli ci ha insegnato a vivere liberi, liberi di cuore e di pensiero.