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Immigrazione: catastrofe o risorsa ?
Scritto da Oreste Bottaro   
Mercoledì 16 Settembre 2015 08:06

A chi avesse la memoria un po’ corta (mi riferisco soprattutto a chi vuole affondare i barconi), occorre ricordare che il flusso migratorio dall’Italia verso gli altri paesi (principalmente America sia del sud che del nord) raggiunse un numero superiore ai 23 milioni di persone tra la fine ottocento e l’inizio novecento. Un vero e proprio esodo biblico. L’intera popolazione Italiana in quel periodo non raggiungeva questi numeri!

Tutte o quasi le nostre famiglie hanno tra i propri avi, uno o più emigranti. Se gli americani avessero “affondato le navi” alcuni scalmanati della “morte all’invasore” non sarebbero qui con noi per la semplice ragione che non sarebbero nati.

Vorrei anche sottolineare che nel 2014, 63.000 Italiani hanno fatto fagotto e sono emigrati nella sola Gran Bretagna a trovar lavoro. Sommando quelli che se ne sono andati anche in altri paesi è molto probabile che il bilancio tra partenze ed arrivi sia ancora in positivo (sono più gli italiani emigrati che gli stranieri immigrati da altri paesi)

A chi è terrorizzato dalla discesa (o per meglio dire, salita) delle orde barbariche, occorre ricordare che negli Stati Uniti sino a pochi decenni fa arrivavano milioni di persone ogni anno (Ispanici, tedeschi, Polacchi, Italiani, Cinesi ecc.)! Ed è soprattutto grazie a loro che gli USA sono diventati la più grande potenza economica e politica del mondo. Tra le più importanti figure di quel paese ci sono stati molti immigrati o figli di immigrati. Per rammentare un nome trai i tanti, Steve Jobs, fondatore di Apple era figlio di un Siriano clandestino come tanti di quelli che sbarcano ora in Sicilia, ma poi Einstein, Enrico Fermi arrivando sino all’attuale presidente, figlio di un immigrato nero Keniano, non molto diverso da qui “negri” che ora terrorizzano i “benpensanti”.

Di recente anche se in minori proporzioni, la stessa cosa è avvenuta in Francia, Germania e Regno Unito. Tutte nazioni con economie fortissime.

Quel’è stata la formula per rendere una risorsa tutta questa immigrazione ? la risposta è chiara e semplice: il lavoro operoso. Le nazioni che ho citato (con in testa gli Stati Uniti) hanno governato i flussi migratori dando in primo luogo compiti e responsabilità di lavoro nei vari settori dell’economia a chi entrava nel loro paese (industria, attività estrattive e minerarie, costruzioni ed infrastrutturale, agricoltura ecc.).

La prima obbiezione che può arrivare dopo questa introduzione è di chi sostiene che non c’è lavoro neppure per gli Italiani e quindi come faremmo a darne agli immigrati ?

Chi vede le cose con l’occhio del progresso coglie invece che abbiamo una intera nazione da “ristrutturare” ed in parte ancora da costruire.

Partiamo ad esempio dalla devastante situazione di gran parte del nostro ambiente e di molte delle nostre aree urbane: fiumi invasi da detriti che ad ogni pioggia un po’ abbondante creano alluvioni, campagne e boschi incolti che si sono trasformati in vere e proprie giungle, periferie di città  (ed a volte anche centri storici) assolutamente impresentabili per la sporcizia e la trascuratezza , viabilità disastrata, un patrimonio immobiliare storico lasciato in abbandono per costruire nuove invasive aree urbane, e poi spiagge colme di immondizia e detriti ecc.). Il nostro paese e le nostre città potrebbero sicuramente non avere confronti al mondo se solo ne avessimo la cura necessaria.

Quale migliore occasione della disponibilità di tanta manodopera per eseguire queste attività che pochi Italiani accettano di fare ?

Quanti dei nostri ragazzi, per fare un esempio calzante con la nostra realtà locale, sarebbero disposti al lavoro nella pastorizia o nella pulizia dei boschi? e tutti sappiamo molto bene quanto siano esse fondamentali per la conservazione delle nostre montagne (sempre più infrequentabili per lo stato di abbandono in cui molte aree versano).

Certamente la gran parte del lavoro disponibile per gli immigrati è umile e poco remunerativo (e quindi a maggior ragione rifiutato dai nostri concittadini, soprattutto se giovani figli del “benessere”). Ma cosa pensate che facessero i nostri nonni negli Stati Uniti ? forse i dirigenti d’azienda o gli impiegati di banca ?

La dignità del lavoro per umile che sia è sempre assai migliore che un becero assistenzialismo che comunque comporta costi alla comunità senza creare alcun patrimonio. Paradossalmente agli immigrati non viene nemmeno chiesto di dedicarsi al restauro degli edifici adibiti alla loro prima accoglienza . Pura follia avere tanti uomini forti (in tale caratteristica fisica molti africani ci battono 10 a 0) e non consentigli di prendere nelle mani né un badile né una carriola!

Gli immigrati sono in gran parte persone che stanno cercando riscatto. Offrigli un’opportunità, oltre che umano è anche utile per la comunità. I costi per modesti - ma dignitosi – salari, si tradurranno in patrimonio ambientale e di infrastrutture  a disposizione della collettività, con il ritorno economico e di qualità della vita che ciò comporta.

Coloro tra migranti che non accettasse questa logica di impegno ed integrazione si emarginerà da solo e probabilmente ripartirà per altri luoghi per non subire le conseguenze della propria esclusione dalla società.

Sicuramente dobbiamo lavorare anche sul fronte del progresso e della pacificazione delle nazioni d’origine dei flussi migratori, con quelle azioni di ingerenza umanitaria indispensabili alla soluzione di questi enormi problemi. Non è pensabile infatti che popoli senza cultura sociale e politica, riescano a governarsi da soli senza inciampare in tragedie o vere e proprie catastrofi. Non ci siamo riusciti noi stessi, pur avendo una cultura millenaria. La seconda guerra mondiale lo ha messo in drammatica evidenza.

Chi si chiude al “calduccio” delle proprie case pensando che quanto succede dall’atra parte del mondo non lo coinvolga, non comprende che le onde degli tsunami umanitari arrivano molto lontano e non bastano quattro urli scomposti a fermarle.

Non possiamo pensare di risolvere questi problemi senza correre  qualche inevitabile rischio e sacrificio per stabilizzare le aree critiche del mondo (come avvenne in ex Jugoslavia, nel Libano e in Afganistan). Se gli americani durante la seconda guerra mondiale si fossero tenuti fuori dalla mischia, saremmo ancora qui a scannarci tra europei (e tra razze diverse). Occorre investire nel potenziare l’autorità economica, politica e purtroppo quando necessario, anche militare, delle organizzazioni internazionali che intervengono nelle varie aree critiche del mondo, ONU in primis. Facile, ma non basta, appellarsi al solo “dialogo” e chiudere gli occhi di fronte a milioni di morti e di persone che fuggono dalla propria terra.

Comunque per veloci che siano questi interventi richiederanno anni, nel frattempo molte altre persone arriveranno da noi e quindi dobbiamo fare di “necessità virtù”.

Qualcuno comincia ad intuire di dare la possibilità agli immigrati di lavorare  ma la perdita, da parte di molti, del concetto “lavoro – progresso”  fa contorcere la politica attorno a mille fumose ed a volte inumane formule, senza concretizzarne la prima è la più risolutiva di questo problema: operosità per tutti, partendo dagli immigrati.