Home Editoriale Il PD il partito che non c’è

Traduzioni e Comunicazione

Scritto da Adelino Amistadi   
Sabato 28 Febbraio 2009 14:50
In questi giorni s’è fatto un gran parlare di Partito Democratico e delle sue traversie, ma mi rendo conto che, per i non addetti ai lavori, la situazione non sia facile da capire  nei suoi risvolti e nei collegamenti con la nostra realtà. Cerco di dare il mio contributo alla semplificazione.
Da come si sono messe le cose, il PD, non ha più niente del progetto politico e neppure può, ormai, fungere da laboratorio, come qualcuno insiste nel ritenerlo. E’ tornato ad essere un’idea, quella degli anni novanta, quando l’Ulivo rappresentava la speranza, di cattolici e laici di sinistra, di poter stare assieme senza troppo preoccuparsi della compatibilità fra culture politiche che avrebbero dovuto sostenerlo e legittimarlo, scomodando, nel ruolo unificante, la cosiddetta società civile. Ma, evidentemente, non era che una speranza. Una speranza, nonostante gli sforzi, naufragata da tempo, molto prima dell’uragano abbattutosi recentemente sul PD.

Sarebbe facile per me riprendere qualche ragionamento fatto su questo giornale (ma anche su “l’Adige” e sul “Trentino”) in cui dicevo e prevedevo esattamente quello che è avvenuto. Già il pur breve governo Prodi aveva dimostrato quanto sia difficile, se  non impossibile, tenere in piedi partiti prescindendo da un comune sentire, da una convinta condivisione di valori e metodi. Non ci può essere matrimonio fra fidanzati che giornalmente si prendono a schiaffi e si mandano a quel paese. Era una aspirazione, debbo riconoscerlo, coraggiosa, ma soprattutto ambiziosa, che doveva comunque fare i conti con le contrapposizioni ideologiche, storiche ed anche spirituali che avevano caratterizzato politicamente il Ventesimo secolo; tanto per capirci, far convivere sotto lo stesso tetto la sinistra tradizionale ed il cattolicesimo degasperiano.
L’ibridazione non è riuscita, non tanto perché non si siano impegnati protagonisti, ma semplicemente per l’impossibilità di tenere insieme ciò che in politica (come in natura) non può stare assieme. In quel di Trento la situazione non è tanto diversa, leggiamo in questi giorni che già si discute se dare o non dare un sostanzioso contributo all’Associazione dei Focolarini e il PD, spaccato, non sa che pesci pigliare con gli ex comunisti, i “filo brigatisti”, i radicali contrari e i cattolici favorevoli. D’altronde il PD sta fallendo anche per l’arrogante supremazia, al suo interno, della parte comunista rispetto alla posizione subalterna dei cattolici, a dimostrazione che la matematica non risolve le situazioni di fondo. Dopo l’ondivago ed indeciso Veltroni, dimissionario per fallimento (è sua l’ammissione!), tocca a Franceschini raccogliere i cocci, e già con le prime mosse, contrariamente alle sue dichiarazioni, si è riaffidato mani e piedi al potere degli inaffondabili D’Alema, Fassino, Violante, Bassolino, Fioroni ecc.
Con queste premesse è facile prevedere che non ci sarà riscossa e già trapela una probabile rottura subito dopo le elezioni europee, sarà quello il momento degli addii, gli ulivisti e i popolari, non diversamente di D’Alema nell’altro versante, stanno costruendo un percorso alla ricerca di un’intesa con altri cattolici e moderati non schierati col Berlusca. L’attivismo di Letta e Rutelli è esemplare al riguardo. A Trento il tutto sembra attutito  e meno traumatico, evidentemente l’essere partito di governo in Provincia e prevedibilmente in città, garantisce ai componenti del PD, cattolici e non, un posizionamento redditizio sia in termini elettorali che personali a cui è difficile rinunciare. Il collante Dellai, che però non perde occasione per smarcarsi, garantisce loro un proseguimento, seppur accidentato, dell’intera legislatura. Il tutto viene rimandato al dopo Dellai, ma già all’interno ci si riposiziona per non fare la fine di Remo Andreolli, fondatore del PD e poi estromesso in malo modo. Troveranno i nostri eroi il modo di sopravvivere? Nel ‘baillamme’ della politica trentina, nel caos più totale di prospettiva, con l’assenza di alternative credibili, in attesa che il grande centro di Casini, Letta e Dellai, (ma sarà vero?) venga avanti, io rimango convinto che il dibattito politico trentino abbia bisogno di una buona sinistra, una sinistra, però, diversa.
E allora mi permetto, da cittadino ormai, di dare alcuni suggerimenti per tentare un consolidamento perlomeno nella nostra provincia. Passi decisi ed immediati. Il comunismo va archiviato fra gli orrori della storia, una malattia politica e morale a cui non sono stati estranei né Togliatti, ma neanche Napolitano, così come D’Alema e lo stesso Veltroni. Non devono porsi problemi identitari legati alle vecchie chiese, né ai socialisti, ancor meno ai socialdemocratici, ma qualcosa di veramente nuovo negli uomini (!) e nelle finalità, che guardi ai meno garantiti, ai giovani, alle difficoltà del quotidiano, a principi di uguaglianza sociale, ed alle problematiche del lavoro. Che professi rigore e moralità non come alibi per essere migliori, ma come pratica costante e qualificante di ogni forma di partecipazione. Non deve farsi condizionare da forze sindacali settarie, per non dire reazionarie, tutte tese alla difesa di privilegi  e posizioni (vedi come andò la legge sui segretari comunali!), deve dare importanza al merito, alla forza ed alla volontà di rischiare ed innovare opponendosi  a privilegi e rendite amicali o meno, deve farsi curare dallo strabismo antico che tutto quello che è americano sia criminale e magari Fidel Castro, a Cuba, sia un modello da segnalare. Che i crimini di guerra siano tali se ci sono di mezzo gli Israeliani e siano lotta di liberazione se c’è di mezzo Hamas, e perché no, un po’ di più rispetto per le nostre tradizioni, i nostri simboli, la nostra storia. In Trentino di una sinistra metà comunista e metà affarista, dispensatrice di consulenze ad amici e non, saccente, salottiera, presuntuosa, anti cristiana, alla Bassolino, non sappiamo che farcene. Meglio che perda, si decomponga, che sparisca.