A un anno dalla Lehman Brothers La crisi economica ci lascia un interrogativo sull’identità e il ruolo delle banche Lunedì 15 settembre 2008, il mondo economico e finanziario si svegliò con una notizia clamorosa: la Lehman Brothers, il colosso bancario USA che operava nel campo dell’investiments banking internazionale era fallita sull’onda della grave crisi che aveva colpito il mondo del credito dopo lo scoppio della bolla dei sub-prime.
La banca aveva effettuato prestiti che sopravanzavano ampiamente il capitale e sotto questa enorme montagna di crediti inesigibili, dopo un week-end di febbrili consultazioni tra la Federal Reserve di Ben Bernanke, e il governo USA presieduto allora da George Bush, si decise di lasciarla fallire. Stanchi delle continue richieste di aiuto da parte delle istituzioni finanziarie come Bear Stern e AIG, il colosso assicurativo, già salvati nella primavera del 2008 con iniezioni continue di liquidità, e timorosi che poi emergessero nuovi problemi, dopo aver avvisato anche le autorità finanziarie internazionali come la Banca Centrale Europea a Bruxelles e la potente Bank of Japan di Tokyo lasciarono al suo destino il colosso dell’investiment banking con tutti i suoi azionisti. Ricordiamo tutti le immagini televisive di quel giorno con i dipendenti che mettevano le loro cose nello scatolone ed uscivano dalla sede newyorkese sotto gli occhi dellle telecamere di tutto il mondo. Se da un punto di vista analitico ed economico la cosa era ineccepibile l’effetto domino a livello mondiale di quella notizia, e di quelle immagini, fu micidiale. Da quel giorno enormi capitali lasciarono l’area dell’EURO, che era ai massimi, per andare a soccorrere le banche USA, crollarono i mercati, e in particolare i settori finanziari e scomparirono gli ordinativi alle industrie internazionali fermando per quasi tre mesi il commercio internazionale. Dopo il crollo delle Twin Towers, l’11 novembre del 2001, che aveva diffuso la psicosi del terrorismo in tutto il mondo, questo si può dire sia stato il secondo grande evento mediatico che ha alimentato una psicosi nel mondo finanziario, una sorta di panic selling mondiale trasmessa dalle reti informative come Reuters, Bloomberg e televisive come la CNN. Oggi, passato un anno da quell’evento e guardandosi indietro con gli occhi non solo della storia ma anche dell’analisi, le opinioni su quell’episodio sono ancora discordanti e non ancora risolte come ci ha ricordato Padoa Schioppa nel suo intervento al Festival dell’economia di Trento ai primi di giugno. Cambiato infatti il presidente repubblicano Bush con il democratico Obama, e confermata la fiducia a Ben Bernanke che in quel episodio ebbe un ruolo chiave, ora si devono definire una volta per tutte l’identità e le funzioni della banca. La cronaca dei quei mesi invernali è in parte drammatica perché mentre le banche private e quotate dovevano confrontarsi su due fronti, quello della depressione dei mercati finanziari e quello delle sofferenze del credito alle imprese e ai cittadini, quelle non quotate “godevano” di una sorta di stabilità proprio perché non costrette a misurarsi sui coefficienti patrimoniali in quanto non quotate sui mercati e quindi in mano dell’associazionismo cooperativo. L’intervento massiccio sul credito locale da parte di quest’ultimi è stato quindi condizionato e proporzionato dalla stessa quota di mercato posseduta precedentemente dal sistema creditizio cooperativo che le fa considerate più un servizio che un’impresa, che invece risponde a tutti i criteri contabili come nel caso Lehman. Le recenti ristrutturazioni bancarie con la creazione delle “bad bank” di fatto sembrano sfuggire alla domanda “la banca è un’impresa, e può quindi fallire se eroga troppo credito, o un servizio che invece va sostenuto con interventi pubblici mirati, come sostenevano gli autocrati durante il ventennio?” Dopo la Grande Guerra infatti le grandi banche private come Banco di Roma, Credito Italiano e Banca Commerciale, vennero tutte nazionalizzate, mentre il credito cooperativo continuò a occuparsi delle singole comunità dove era sorto. Per concludere dopo un anno dal crollo della Lehman, oggi sarebbe bene riflettere se è giusto continuare a chiamare indistintamente “banca”, tutte le funzioni che sorgono intorno al risparmio, o invece pensare ad una divisione netta, anche a livello societario, tra depositi, con la difesa del risparmio, investimenti e finanziamenti. I multipli della crescita economica internazionale, del cumulo dei debiti governativi e dei finanziamenti obbligazionari, costringono infatti a riprogettare il sistema in modo che al prossimo shock, il sistema possa reggere senza subire il panico, anche informativo, vissuto durante l’inverno del 2009. E’ auspicabile quindi progettare un nuovo assetto nel mondo finanziario a partire proprio della vecchia istituzione bancaria, che sembra ormai avviata ad una sostanziale ristrutturazione per rispondere sempre meglio all’economia e dai mercati globalizzati i quali non torneranno più indietro nel tempo.
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