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Credere nell’impresa
Scritto da Oreste Bottaro*   
Lunedì 12 Ottobre 2015 21:28

In questo momento di difficoltà economica occorre riflettere su come le imprese possono esistere e svilupparsi e quale cultura ed ordinamento sociale le sostiene.L’attuale benessere è stato raggiunto grazie ad una grande comunione di intenti ed obbiettivi rivolti, sopratutto nel primo dopoguerra,  alla costruzione di un efficiente sistema economico. Sicuramente il secondo conflitto mondiale, con le sue catastrofi, ha influito sulla disponibilità delle persone appartenenti a tutte le categorie, all’impegno rivolto alla comunità. Risultò evidente che solo il progresso dell’intera collettività, nel contesto delle democrazie avanzate, avrebbe consentito il riscatto sociale di tutti. Nell’ambito delle imprese, motore principale delle opportunità di lavoro, l’impegno di maestranze ed imprenditori è stato una delle basi della crescita  straordinaria di ricchezza vissuta dal nostro paese. 

Questo meccanismo virtuoso ha cominciato per molti aspetti, ad incrinarsi alla fine degli anni sessanta (una volta raggiunto un certo benessere).

Le varie riforme, seppur nate da molte giuste rivendicazioni, non hanno prestato la dovuta attenzione a regole che salvaguardassero i concetti di competenze ed efficienza. Lasciando in secondo piano questo fondamentale principio di meritocrazia si è indebolita la forza di progresso delle imprese. L’obbiettivo principale è stato quello di suddividersi le risorse create con tanto lavoro, ponendo poca o nessuna attenzione ai principi necessari per generare altra ricchezza.

Il significato di “lavoro” è stato travisato  in “diritto indiscutibile al reddito”  a prescindere dagli adempimenti dei propri doveri.

Le imprese non possono sopravvivere se non creano team coesi rivolti all’efficienza.

Tutte le volte che si pongono, prima della meritocrazia, altri interessi, si distrugge il delicato equilibrio di una sana economia.

Molte scelte politiche, frutto anche di forzature esercitate da parti sociali come sindacati ed associazioni di impresa, sono andate esattamente nella direzione opposta.

In quanti casi assurde leggi in tema di lavoro, hanno determinato la rovina delle attività economiche. Sono passate tesi che non indicavano nel merito, la base fondamentale del riconoscimento di miglioramenti salariali e del ruolo raggiunto dalle persone nell’ambito lavorativo ma una mentalità diffusa che privilegia il corporativismo e l’appartenenza di parte.

Importanti aziende per sfuggire a questi meccanismi perversi, hanno trasferito molte o tutte le loro attività in paesi con ordinamenti sociali favorevoli al loro futuro. Il nostro paese ha così perso ricchezza.

Altre imprese si sono adattate alla situazione sfruttando fonti di finanziamento che nulla avevano a che vedere con il corretto profitto industriale.

C’è anche stato un legame ed una condivisione per il quieto vivere tra alcuni “imprenditori” e controparti sindacali, al fine di spartirsi le risorse esistenti.

 

Ai vari tavoli di trattativa sono stati raggiunti assurdi compromessi scambiano concessioni paradossali in termini di diritto del lavoro (possibilità di infinito assenteismo, nessun collegamento tra stabilità del lavoro e professionalità, assenza assoluta di mobilità, forme pensionistiche a vita, normativa per scioperi ed assemblee fuori da ogni controllo ecc.) con finanziamenti a pioggia ad imprese in gran parte “decotte”.

In tutto questo ha messo indubbiamente lo “zampino” una politica lasciva ed inoperosa” e sicuramente (come si è visto) anche un po’ corrotta che ha pensato a “bizantinismi” chiaramente assurdi ed inapplicabili, piuttosto che a chiare leggi moderne e coerenti con le dinamiche economiche.

il risultato è stato il rischio concreto di fallimento della nostra economia che ha sfiorato, la bancarotta coprendo i buchi generati da: uscite finanziare per investimenti assolutamente improduttivi, enormi risorse spese per gli ammortizzatori sociali  e per i prepensionamenti, esplosione di molto lavoro pubblico inutile e parassitario per sopperire alla sempre maggior carenza di quello privato.

Qualcosa si sta facendo e bisogna andare avanti senza tentennamenti per sradicare questa cultura del  “tanto i soldi ci sono”, anche perché abbiamo ormai raschiato il fondo del barile (ed è inutile che ci lamentiamo con la Germania che ce lo fa presente).

Soprattutto chi si occupa di difesa dei diritti delle persone che lavorano, dovrebbe assumere la coscienza che ci sono nuove generazioni e strati deboli della società da far crescere. Senza risorse - che non cadono mai dal cielo - nessuna solidarietà è possibile Deve entrare a tutti in testa che ogni privilegio sacrifica un legittimo diritto.

L’attribuzione del merito nelle aziende, deve essere lasciata fondamentalmente agli imprenditori che sono i soli a poter garantire, rispettando ovviamente le leggi e le normative, l’efficienza della “squadra” e quindi la sostenibilità economica (o meglio il successo) dell’impresa. Le aziende non devono occuparsi di welfare (a questo ci deve pensare lo stato) ma di massimizzare la loro competitività nel rispetto delle regole comuni.

 

Non dimentichiamo mai che dipende in prima istanza, dalle scelte dei responsabili d’azienda il reddito dei propri lavoratori ed il contributo ai costi sociali mediante le tasse sull’utile d’impresa .

Forse (e me lo auguro) in molti condividono queste  ragioni  ma stanno pensando che il difficile è individuare come costruire leggi e regole per far funzionare meglio le cose .

Innanzitutto non bisogna scoraggiarsi con il dire “ma da noi non c’è la mentalità”. Se infatti questo è il pensiero, non si cambierà mai nulla. Non sono io il primo a dire che il “gufismo” è un po’ il vero sport nazionale.

Come ebbi modo di suggerire in miei precedenti interventi basterebbe, premessa la ferma volontà di farlo, riferirsi a modelli virtuosi per trovare ottime e veloci soluzioni.

 

Proviamo a consultare con attenzione questo documento:  http://www.fucinaidee.it/documenti12/doc059b-12.pdf  sulle leggi Danesi del lavoro e dello welfare (ricordo che in Danimarca la disoccupazione e praticamente assente e che l’economia è tra le migliori d’Europa e del mondo). Con pochissimi adattamenti avremmo pronte normative con il giusto equilibrio tra meritocrazia e protezione sociale  che ci farebbero ricreare le condizioni di un nuovo boom economico vista la nostra  positiva propensione, ad elaborare idee di prodotti e servizi (rara da trovare in tali proporzioni, in altre parti del mondo). Rifacendosi a formule già testate si ridurrebbero anche in modo drastico  i costi della politica a volte spesi inutilmente per “inventare l’acqua calda” in infinite commissioni, convegni, consulenze e chi più ne ha ne metta …..

 

*imprenditore e presidente del Giornale delle Giudicarie